Il “Libro Bianco sulla riabilitazione oncologica in Italia” promosso da F.A.V.O., nasce come prodotto del progetto, finanziato dal ministero della Salute, HO CURA (Health Organization of Cancer Units for Rehabilitation), frutto di una sinergia tra molteplici istituti a carattere scientifico (Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, Fondazione “S. Maugeri” di Pavia, IRCCS IRE “Istituto Nazionale Tumori Regina, Elena” di Roma, IRCCS IST “Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro” di Genova), Regioni (Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta e Centro di Riabilitazione Oncologica ASL 10 Firenze), associazioni di volontariato (AILAR, AIMaC, AISTOM, AMOC, ANDOS, ANTEA, AOPI, Gigi Ghirotti, IRENE, NON PIU’ SOLA, VELA, FINCO), società scientifiche (AIOM, SIMFER , SIPO) e INPS e comprende il primo censimento sulle strutture esistenti e propone un’analisi a più voci sui risvolti medici, psicologici, sociali, economici della riabilitazione oncologica.
Non si tratta di un trattato a scopo didattico, bensì di uno studio per richiamare l’attenzione, sulla necessità di percorsi riabilitativi fin dal momento della diagnosi, dei malati e degli operatori sanitari, ma, soprattutto, di chi ha il compito di pianificare e progettare la sanità futura. E’ uno strumento sintetico che vuole servire da base e stimolo per la discussione e il confronto.
Le ragioni di questo Libro Bianco
In Italia vivono oltre 1.700.000 persone che hanno avuto una diagnosi di cancro. Più di 250.000 sono i nuovi casi ogni anno.
La metà delle persone malate guarisce e, nella maggior parte dei casi, senza conseguenze invalidanti, ma un numero rilevante di loro può convivere con la propria neoplasia più o meno a lungo. Anche tra coloro che sono guariti fisicamente, inoltre, le conseguenze psicologiche e relazionali della malattia possono essere tali da non consentire più il recupero di una vita di qualità.
Superato il concetto di malattia-cancro come sinonimo di morte, si aprono oggi scenari nuovi che non possono e non devono essere ignorati per i loro risvolti umani, sociali ed economici. Se non vogliamo creare uno stuolo di invalidi e emarginati dalla società, dobbiamo adoperarci per offrire alle persone con esperienza di malattia oncologica il recupero e/o il mantenimento della massima autonomia fisica e relazionale, garantendo loro la migliore qualità di vita possibile. Diagnosi, terapia (chirurgia, radioterapia, chemioterapia, farmaci biologici), ricaduta e progressione, cure palliative: sono tutte fasi della malattia che comportano problematiche profondamente diverse che devono essere riconosciute e analizzate nel contesto culturale, sociale, umano della singola persona, la cui dignità passa anche attraverso lo stare bene con se stessa, con il proprio corpo e nel rapporto con gli altri. Emergono pertanto nuovi bisogni legati all’immagine corporea, alla nutrizione, alla sessualità e alla possibilità di procreare, di contrastare il deterioramento cognitivo legato a certe terapie e di progettare un proprio futuro. Questa è la sfida che si gioca oggi nel campo della riabilitazione oncologica.
Per decenni si è parlato di riabilitazione come terapia mirata al solo recupero di una funzione lesa. Per citare un esempio, ci si è concentrati sul trattamento riabilitativo del linfedema delle donne operate di tumore mammario, patologia sicuramente rilevante dal punto di vista numerico, ma si è trascurato di inserire nei percorsi altre persone con tipologie di malattia che comportano problematiche complesse, fisiche, relazionali, psicologiche e sociali: le persone che hanno subito una stomia, le persone con incontinenza, con disfunzioni sessuali, i soggetti che necessitano di cure palliative.
L’ impostazione riduttiva della riabilitazione è stata oggetto di revisione in varie sedi scientifiche, ma soprattutto è stata ampiamente discussa e contestata dalle associazioni del volontariato oncologico, per la maggior parte costituite dalle persone malate. In particolare, F.A.V.O., la Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia, ha denunciato la mancanza di riabilitazione come equivalente a un diritto negato. Già da tempo le Associazioni sollecitano le istituzioni ad attivare tutte le sinergie possibili affinché, a livello nazionale, vengano realizzati percorsi riabilitativi riservati ai pazienti oncologici, di facile accesso e basati sulle evidenze scientifiche.
La letteratura internazionale, e la più recente normativa nazionale, sottolineano la necessità che ogni attività riabilitativa debba partire dalla valutazione globale del paziente e dalla presa in carico della persona nella sua complessità e completezza. L’idea del “Libro Bianco” sulla riabilitazione in Italia deriva dalla necessità di trasmettere e condividere la nuova impostazione che sta emergendo per la riabilitazione.
Senza la spinta delle persone malate di cancro, e di coloro che ne rappresentano gli interessi, l’idea del “Libro Bianco”, forse, sarebbe rimasta sulla carta.
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