“MENO OSPEDALE E PIÙ TERRITORIO PER CURARE I PAZIENTI. MA IL TAGLIO DEI POSTI LETTO NON DANNEGGI I CENTRI MIGLIORI”

Il prof. De Lorenzo (presidente FAVO): “La spending review è un’occasione per delineare un nuovo approccio, che privilegi i servizi domiciliari e gli hospice. Attenzione a non trascurare l’eccellenza”

Roma, 16 maggio 2013 – Serve un nuovo modello di assistenza per i pazienti colpiti dal cancro, meno centrato sull’ospedale e più orientato a forme alternative. Con ricoveri diurni, maggiore coinvolgimento dei medici di famiglia nelle fasi successive ai trattamenti nosocomiali e servizi ambulatoriali, domiciliari e residenziali. Ogni anno nel nostro Paese si registrano 364mila nuovi casi di tumore: 202.500 (56%) negli uomini e 162.000 (44%) nelle donne. La spending review può rappresentare un’occasione, purché la norma venga interpretata correttamente. Il taglio dei posti letto richiesto dal provvedimento non può essere realizzato senza considerare le esigenze dei malati oncologici. È concreto il rischio che, in assenza di verifiche, le Regioni operino, in modo uniforme e indiscriminato, riduzioni lineari, per rientrare nei valori previsti dalla legge.

L’allarme arriva dalla FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) nella VIII Giornata nazionale del malato oncologico ed è contenuto nel V Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici presentato oggi al Senato. “Il 30% dei pazienti con cancro muore in strutture ospedaliere destinate al contrasto di patologie acute, generando gravi sofferenze umane e familiari – afferma il prof. Francesco De Lorenzo, presidente FAVO -. È chiara l’inappropriatezza di questi ricoveri. Vanno poi considerati gli alti costi pro-die delle degenze in centri complessi e ad alto tasso tecnologico, con il rischio aggiuntivo di sottrarre posti letto a malati oncologici in fase acuta, sicuramente recuperabili con interventi tempestivi ed appropriati, rispetto a quelli, notevolmente minori, dell’assistenza domiciliare e dell’accoglienza negli hospice”.

Il Rapporto, predisposto dall’Osservatorio sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, denuncia anche gravi carenze. Ad esempio, a fronte di 598 posti letto in hospice in Lombardia e 241 in Emilia Romagna, se ne registrano solo 20 in Campania e 7 in Calabria, mentre vi sono 27 strutture con servizio di radioterapia in Lombardia, 7 in Puglia e 3 in Calabria. E il fascicolo sanitario elettronico è utilizzato solo in 5 Regioni. Un gruppo di lavoro formato da esperti della Società Italiana di Chirurgia Oncologica (SICO), dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), della FAVO e da rappresentanti della Direzione Generale Sistema Informativo e statistico sanitario del Ministero della Salute ha individuato i parametri (con riferimento a quelli internazionali) per stabilire i volumi minimi di attività per singola neoplasia, al di sotto dei quali le strutture chirurgiche non dovrebbero essere abilitate ad affrontare le varie patologie. Rispetto ai 1.015 centri che si occupano di cancro del colon retto, solo 196 risultano adeguati; dei 906 del tumore della mammella, solo 193; dei 702 del polmone solo 96 e dei 624 della prostata solo 118. “Esistono criticità – spiega il prof. Stefano Cascinu, presidente AIOM - anche per alcune oncologie mediche, presenti in piccoli ospedali, prive degli indispensabili servizi di supporto e con casistiche assistenziali inferiori al minimo necessario per garantire esperienza sufficiente e trattamenti adeguati. Evidenze scientifiche dimostrano che strutture con bassi volumi di attività presentano statisticamente maggiori rischi per i malati con incrementi significativi della morbilità e mortalità specifiche. Queste criticità possono essere superate dalla costituzione delle reti oncologiche, unica modalità per fornire un adeguato supporto ai malati. Purtroppo, dopo tanti anni, solo poche Regioni si sono dotate di questi strumenti. Nel riesame delle dotazioni ospedaliere, le Regioni dovranno evitare di operare tagli lineari, che incidano contestualmente su strutture inadeguate e su centri oncologici di eccellenza”.

“La parola ‘cancro’ – continua il prof. Francesco Cognetti dell’Oncologia Medica del Regina Elena di Roma - è stata per lungo tempo quasi impronunciabile, sostituita spesso con ‘male incurabile’, per indicare una malattia che non lasciava scampo. Ma la scienza medica negli ultimi anni ha compiuto progressi incredibili, rendendo cronica una patologia complessa, dall’importante peso sociale. È ormai un dato di fatto che di tumore si muore sempre meno, grazie a terapie innovative e a massicce campagne di prevenzione e informazione. Emerge infatti una riduzione significativa della mortalità complessiva per cancro, in entrambi i sessi. Il calo è del 12% nei maschi e del 6% tra le femmine. È anche vero, però, che il numero di casi continua ad aumentare. È evidente quindi come l’assistenza continua ai malati comporti costi economici sempre maggiori. La cronicizzazione della malattia, se ha risolto alcuni problemi, ha aperto poi altre questioni, ad esempio il reinserimento nella società dell’ex-paziente”.

Nel nostro Paese, infatti, vivono circa 1 milione e 285mila persone che hanno superato la soglia dei 5 anni dalla diagnosi senza ricadute e tornano alla vita di tutti i giorni. Riprendono cioè il lavoro, praticano sport, fanno figli. “Il numero dei guariti – sottolinea il prof. De Lorenzo - aumenta in modo costante. All’esito positivo relativo alla fase acuta della malattia, si accompagna una preoccupante carenza dei servizi per i nuovi bisogni che insorgono nelle fasi, sempre più estese, della lungosopravvivenza. L’attività del volontariato, l’integrazione dei servizi socio-assistenziali degli enti locali e le provvidenze economiche dell’INPS riescono solo in parte a supplire alle carenti risposte del Servizio sanitario nazionale. Comprendiamo che il momento è difficile e che dobbiamo collaborare tutti ad eliminare gli sprechi e ad ottimizzare il sistema secondo principi di appropriatezza. Tuttavia, penalizzare i malati oncologici attraverso una riduzione orizzontale ed indiscriminata di servizi e prestazioni, non rappresenta una scelta etica, né foriera di reali risparmi. Già ora le famiglie devono sostenere oneri, anche economici, rilevanti e ulteriori penalizzazioni rappresenterebbero davvero una forte limitazione al diritto di cura dei cittadini. Per tutte le grandi malattie, a cominciare dal cancro, deve essere garantito l’accesso, senza partecipazione di spesa da parte del malato, a diagnosi, terapie e riabilitazione”.

Un capitolo del Rapporto è legato all’assistenza farmaceutica. Il 18 novembre 2010 è stato siglato, nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni, l’accordo sull’accesso ai farmaci innovativi, pubblicato poi nella Gazzetta Ufficiale del 10 gennaio 2011. Tale accordo aveva l’obiettivo di eliminare le disparità di accesso nelle varie Regioni: da novembre 2010 in poi tutti i medicinali autorizzati e considerati da Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) dotati del requisito della innovatività terapeutica “importante” avrebbero dovuto essere disponibili, immediatamente, su tutto il territorio nazionale, anche senza il formale inserimento dei prodotti nei Prontuari Terapeutici Regionali (PTR) ospedalieri. “Ma – conclude il prof. Cascinu - continuano a persistere ad oggi problematiche legate ai criteri con i quali l’AIFA considera innovativo un nuovo farmaco, al recepimento o meno di tale accordo da parte di tutte le Regioni dotate di PTR, al non uniforme inserimento in tutti i PTR dei farmaci antitumorali ad alto costo autorizzati da AIFA senza il requisito dell’innovatività. Già nell’analisi condotta da AIOM nel marzo 2011 era stato evidenziata una non uniformità nell’inserimento nei PTR di 18 farmaci antitumorali ad alto costo autorizzati da AIFA prima del novembre 2010. I risultati dell’analisi, aggiornata da AIOM a febbraio 2012, hanno fatto emergere miglioramenti. L’aggiornamento al 31 dicembre 2012 evidenzia ancora alcune criticità: dalla mancanza di disponibilità costante e facilitata, ad esempio sui siti web regionali, dei PTR, nella loro versione aggiornata, alla mancanza di un aggiornamento periodico, a cadenza predefinita, dei PTR, fino alle tempistiche, a volte molto lunghe, tra le discussioni in Commissione regionale e le effettive pubblicazioni delle delibere, fondamentali per la concreta messa a disposizione del farmaco per i pazienti”.

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