Un convegno organizzato dall’Economist a Londra nel novembre 2017

«Reporters covering “the war on cancer” frequently caution the public to distinguish between official fictions and harsh facts; a few years ago, one science writer found American Cancer Society proclamations that cancer is curable and progress has been made ‘reminiscent of Vietnam optimism prior to the deluge.’ Still, it is one thing to be skeptical about the rhetoric that surrounds cancer, another to give support to many uninformed doctors who insist that no significant progress in treatment has been made, and that cancer is not really curable». Susan Sontag, Illness as a Metaphor, 1978.

war on cancer01Davanti ai cannoni spianati della suggestiva sede londinese della Honourable Artillery Company, dove ha luogo l’evento intitolato Guerra al cancro (War on Cancer) e sottotitolato Viaggio del paziente (A patient’s journey), inevitabilmente viene da riflettere sull’opportunità o meno di demetaforizzare certe malattie più di altre. Quarant’anni fa la scrittrice newyorkese Susan Sontag criticava l’utilizzo delle interpretazioni filosofico-letterarie nel libro Malattia come metafora. Scriveva che quando i divulgatori scientifici raccontano la «guerra al cancro», tendono a mettere in guardia il pubblico in senso moralistico. Secondo costoro i lettori dovrebbero imparare a distinguere tra le fantasie trionfalistiche, simili alla retorica nixoniana sul Vietnam, e quelli che per loro sarebbero i fatti veri e propri, cioè che «il cancro non è realmente curabile». Essendo il 1978 l’anno in cui chi scrive quest’articolo si laureava in medicina e chirurgia, consentite che ci si chieda fino a che punto sia avvenuto un reale slittamento culturale oltre che un vero progresso scientifico. In altre parole, siamo davvero usciti dalla retorica disfattista del brutto male?

La guerra al cancro è un’impresa mondiale per l’Intelligence Unit del settimanale The Economist. Restando nelle metafore non-metafore, pensiamo ai pazienti-gladiatori arruolati nei clinical trial che combattono sotto gli occhi attenti ed emotivi di una comunità mediaticamente preparata a sentenziare col pollice. Nel pubblico si avverte la presenza di figure legate a importanti associazioni di familiari e manager di servizi e aziende sanitarie, informatiche e dell’indotto medico-chirurgico transnazionale. Che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (Brexit) possa rendere difficoltosa la grande alleanza contro il cancro, è un punto messo in evidenza dal professor Francesco De Lorenzo, presidente di European Cancer Patient Coalition, Associazione Italiana Malati di Cancro e Federazione Italiana Associazioni di Volontariato in Oncologia.

Londra è la terza o quarta sede di una serie passata per Shanghai e che arriva a Dubai nella primavera 2018 (https://events.economist.com/events-conferences/emea/war-on-cancer-middle-east). Vi si schierano argomenti politici, biologici ed economici particolarmente rilevanti nel viaggio dei pazienti – nuova metafora delle condizioni croniche. I leader economico-politici in parata includono calibri quali i direttori di NHS England e IBM Watson in un campo dove, nel mondo, ci si contende un milione di miliardi di dollari annui. È poi evocato serenamente il messaggio che vivere una buona vita sia meglio di una vita lunga con la regista scozzese di un recente documentario BBC, Tempo di vivere (A Time to Live), che racconta dodici interviste a pazienti che sanno di avere una prognosi infausta. Cenni a tutti i relatori sono in Tabella.

Accesso alle cure, sviluppo tecno-scientifico, assistenza palliativa

war on cancer02È inevitabile che le definizioni di salute (health) e di ricchezza (wealth) diventino approssimative quando si parla di sistemi complessi e interdipendenti. L’indice globale di accesso all’assistenza dell’Economist vede i Paesi Bassi al primo posto, seguiti da Francia, Germania, Australia e Gran Bretagna. Conformemente a questo concetto di maturità dei sistemi sanitari l’Italia è all’ottavo posto, alla pari con la Spagna. Gli Stati Uniti d’America sono al decimo, appena sopra Brasile e Israele. Considerando come misura del benessere economico il prodotto interno lordo (Pil), si osserva che nell’andamento pluridecennale di queste due misure si sono succeduti picchi, depressioni e divergenze. La tendenza complessiva sarebbe conteggiabile in un aumento di crescita economica dell’1,6% per ogni punto percentuale investito nel miglioramento complessivo del sistema sanitario. Ovviamente ciò non significa che le popolazioni più prospere diventino automaticamente più sane, se si tiene conto dei rischi correlati a obesità, inquinamento e malattie mentali.

In tale scenario complesso le patologie oncologiche rappresentano una sfida difficile ma relativamente ben definita. Pur scontrandosi con abitudini e pregiudizi vecchi quanto la medicina, il valore della centralità del paziente è ormai condiviso e si fa attraente e fruibile con l’utilizzo di internet e della telefonia mobile. L’innovazione tecnologica pervade sempre più le sale operatorie e le attrezzature di radioterapia. Soprattutto è la medicina di precisione a rinnovare le cure quando si tiene conto delle differenze individuali espresse nei geni, nell’ambiente e nelle abitudini di vita di ciascuno. Nel nuovo modello sarebbe, ad esempio, un errore applicare trattamenti standard senza verificare le caratteristiche precise di un individuo, analizzando le interazioni tra età, genere sessuale, genoma, alimentazione, condizioni di vita e comportamenti sociali. Nel ricordare che i costi sanitari potrebbero crescere ulteriormente sacrificando altre spese, è suggestivo ricordare l’evoluzione dall’iprite bellica all’azotiprite chemioterapica.

Tra le nuove tecnologie emerge la tendenza a una sempre maggior centralizzazione dell’informazione, indipendentemente dalla loro origine, formato e significato iniziale. La globalizzazione dei big data vede i colossi informatici in competizione per il patrimonio bio-psico-sociale di un’umanità inedita. Si naviga nella sfera informatica (infosfera) ingaggiando strumenti elettronici e relazioni computazionali complessissime di cui ben pochi riescono a essere anche solo in parte consapevoli, come si constata in appuntamenti altrettanto eclettici di questo londinese.

war on cancer03L’assistenza palliativa converge anch’essa nell’erodere maggior longevità al cancro. Studi basati su evidenze osservazionali dimostrano che, se tempestiva e intesa come integrazione di cure, migliorano sia la sopravvivenza complessiva sia la qualità di vita in modo statisticamente rappresentativo rispetto agli approcci più aggressivi, intensivi e costosi. Ovviamente essa non va confusa con le cure terminali degli ultimi giorni o settimane. L’etica liberista e individualista dell’Economist rispettosamente non include nel programma del convegno temi quali spiritualità e morte. Nonostante l’aumento dell’attesa di vita, nessuno può dirsi esente da tali preoccupazioni, e le molte associazioni di professionisti, pazienti, familiari e cittadini coinvolte mostrano di avere anche l’autorità politica per far parte di nuove strategie. Il brulicare di azioni e conversazioni che giostrano attorno al mondo del cancro è gigantesco, e la rivista in inglese Cancerworld, che ha sede a Milano e divulga notizie oncologiche affidabili, annuncia un concorso internazionale che scade l’1 maggio 2018 per i migliori articoli giornalistici che comunicano efficacemente sulla lotta al cancro.

Il bollettino di guerra, dunque, risponde positivamente al quesito se vi sia stato vero progresso dai tempi in cui la Sontag criticava la metafora bellica. Nuove statistiche subentrano a quelle drammatiche del secolo scorso, ma il fronte di combattimento è sfrangiato perché ci sono importanti avanzamenti più nel settore delle leucemie che non nelle patologie gastrointestinali, e gli esiti sono comunque disallineati rispetto alle variabili sociodemografiche. Riguardo allo slittamento culturale e gli atteggiamenti pubblici si coglie un capovolgimento storico di ruoli: gli investigatori medico-farmaceutici scalzano sempre più dai ruoli di visibilità i chirurghi, tradizionalmente detentori delle posizioni decisionali. Non ci si permette più di considerare le chemioterapie come manovre meramente adiuvanti, anzi, i clinical trial sono diventati l’artiglieria offensiva di medio-lungo raggio che ha maggior successo, con decine di migliaia di pazienti che ogni giorno accettano che si scommetta sulla loro pelle. Resta perplessità circa la questione dello stigma, cioè la vergogna e l’esclusione sociale correlate al cancro – un tema sollevato dal pubblico del convegno, che l’Economist si ripromette di affrontare in una prossima occasione.


– Stefano Palazzi, Ausl e Università di Ferrara