MILANO - Piccoli frammenti di campioni biologici - tessuti, cellule, sangue -, preziosissimi, perché ricchi di informazioni utili alla ricerca scientifica. Di questi materiali se ne raccolgono migliaia ogni anno: provengono da persone sane o da malati e sono prelevati durante test diagnostici o interventi chirurgici. Normalmente vengono distrutti, ma esistono alcuni centri, le cosiddette biobanche, dove i campioni biologici, su consenso dei "proprietari", vengono conservati per essere destinati alla ricerca scientifica. La faccenda è delicata. C'è la questione del consenso al trattamento dei dati personali del donatore e quella dell'autorizzazione a usare i tessuti a fini di studio; ci sono in ballo gli interessi dei malati, quelli dei ricercatori, ma anche quelli dell'industria che produce test diagnostici e farmaci. Che cosa potrebbe accadere se le biobanche fossero gestite da privati con l'ottica del profitto? Ma non solo: se la possibilità di attribuire a una persona la predisposizione a una patologia o la minore responsività a determinati trattamenti presenta l'indubbio vantaggio di effettuare controlli mirati o terapie personalizzate, dove potrebbe portare l'abuso di queste informazioni? «Magari a discriminazioni sul piano lavorativo, assicurativo, sociale» sottolinea Roberto de Miro d'Ajeta, avvocato e consulente giuridico della Federazione delle associazioni del volontariato in oncologia, intervenuto al recente convegno che si è svolto a Milano organizzato dalla Società europea di oncologia medica (Esmo) e dall'Associazione italiana di oncologia medica.

MINIERA DI ENORME VALORE - Ogni anno in Italia più di 250 mila persone sono colpite da tumore. Le biobanche, dunque, potrebbero custodire un'immensa mole di informazioni, un patrimonio di grande rilevanza scientifica. Ma la donazione di tessuti oggi è resa incerta e difficoltosa dall'assenza di regole specifiche, in Italia come nel resto d'Europa. «Lo studio di questi materiali ha aperto nuove opportunità in medicina, in particolare nel campo dell'oncologia - spiega Roberto Labianca, oncologo degli Ospedali riuniti di Bergamo e presidente del Comitato italiano del Congresso Esmo 2010 -. Si va dalla possibilità di progettare nuovi farmaci per terapie personalizzate, a quella di scoprire i soggetti più predisposti a sviluppare tumori; dalla possibilità di individuare i pazienti che hanno maggiore rischio di progressione della malattia, a quella di capire quanto vantaggio ciascuno possa trarre da trattamenti specifici». Ora, però, denunciano gli oncologi, il vuoto normativo in merito alle biobanche rischia di bloccare il progresso delle ricerche. «Bisogna chiedere ai pazienti di donare i loro campioni biologici per la ricerca scientifica, ma si deve garantire loro la trasparenza e l'indipendenza degli studi, la tutela della privacy e che le biobanche siano no profit» precisa l'avvocato de Miro d'Ajeta.

LA PRIVACY DEI DONATORI - A questo proposito, un documento, elaborato da un comitato di esperti e destinato ad essere sottoposto all'attenzione del Garante della privacy, ha fissato alcuni punti fondamentali. Prevede, per esempio, che le strutture di raccolta dei campioni biologici debbano essere indipendenti rispetto ai donatori, ai ricercatori (e ai loro sponsor) e alle istituzioni di ricerca e cura. Inoltre - sottolineano gli esperti - sarebbe meglio chiamare questi centri «bioteche», per evidenziare la loro natura di strumenti di raccolta e condivisione delle conoscenze. E in merito al consenso per il trattamento dei dati personali di chi cede i propri campioni biologici, gli esperti ricordano che oggi vi sono solo alcune indicazioni del Garante della privacy, soggette a interpretazioni giuridiche non univoche. «Dev'essere ben chiaro - sottolinea l'avvocato de Miro d'Ajeta - che il consenso riguardante i dati personali è sempre revocabile dall'interessato, mentre la donazione del campione alla bioteca è irreversibile. Quindi, devono essere tenuti ben distinti tre aspetti diversi: il consenso al prelievo del campione, quello per la destinazione alla ricerca e quello al trattamento dei dati personali». In pratica, se si cambia idea sul proprio materiale donato per la raccolta in una bioteca, i campioni biologici non vengono distrutti, ma resi anonimi. Infine, al paziente può non interessare quale specifica ricerca potrà essere svolta sul suo campione biologico, ma gli va data garanzia che l'uso sia coerente con lo scopo della donazione e su questo è necessaria la vigilanza di comitati etici indipendenti.
Vera Martinella