Il decreto 17 marzo 2020 n. 18 “Cura Italia”, all’art. 26 co. 2, molto opportunamente prevede una tutela rafforzata per i lavoratori che presentino “una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita”, consistente nell’equiparazione al ricovero ospedaliero del periodo di assenza dal lavoro finalizzato ad evitare il contagio da Covid-19.
Come è noto, i pazienti oncologici sono una categoria più soggetta alle infezioni virali e batteriche e alle loro eventuali complicanze. L’Istituto Superiore di Sanità ha rilevato che il 20% dei decessi per infezione da Coronavirus si è registrato proprio tra i pazienti oncologici. È pertanto di fondamentale importanza agevolarne l’assenza dal servizio, senza che ciò comporti alcuna conseguenza pregiudizievole sul rapporto di lavoro, non solo nell’ottica della tutela della salute dei lavoratori più fragili, ma anche della maggiore sostenibilità economica e organizzativa del Servizio sanitario nazionale.
La disposizione di cui all’art. 26 del d. l. Cura Italia, tuttavia, nell’attuale formulazione, risulta di fatto inapplicabile. Per l’ottenimento dei benefici in essa previsti, infatti, il lavoratore paziente oncologico è tenuto a farsi rilasciare una certificazione “dai competenti organi medico legali attestante la sua condizione di rischio derivante da esiti di patologie oncologiche”.
L’assenza dal servizio, inoltre, deve essere prescritta dalle competenti autorità sanitarie, trattandosi di una misura di sanità pubblica di natura preventiva. Innanzitutto, non sono chiaramente identificabili i professionisti e le autorità sanitarie indicate nell’art. 26 del d. l. Cura Italia. Tenuto conto della finalità di tutela perseguita della disposizione, infatti, i competenti organi medico legali dovrebbero essere individuati nel servizio o nel professionista più prossimo al lavoratore.
Ciononostante, la procedura non sarebbe ancora del tutto priva di rischi per il malato, costretto comunque a interrompere il necessario distanziamento sociale. In quest’ottica, si dovrebbero pertanto escludere i servizi medico-legali dell’Azienda sanitaria, il medico competente aziendale e, in ogni caso, qualsiasi altro intervento da parte di professionisti o servizi sanitario che implichi uno spostamento del malato.
La soluzione che potrebbe sembrare più logica – confermata in un primo momento dell’Ufficio disabilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri – vale a dire che la certificazione richiesta dall’art. 26 sia rilasciata dal Medico di Medicina Generale (MMG) che normalmente certifica l’assenza dal lavoro per malattia, risulta anch’essa inapplicabile, come rappresentato in una comunicazione del Segretario Generale Nazionale della FIMMG Silvestro Scotti, in risposta a un quesito inoltrato da F.A.V.O. Il MMG, infatti, non ha alcun potere di certificazione di natura medico-legale né alcuna competenza per la disposizione di misure di sanità pubblica di prevenzione, con la conseguenza che solo l’Azienda USL costituirebbe il competente organo medico legale ai fini dell’applicazione dell’art. 26 del decreto “Cura Italia”.
Affinché la tutela rafforzata per i lavoratori malati di cancro possa essere concretamente garantita, è necessario e urgente modificare l’art. 26 ai fini di un più puntuale coordinamento con il quadro normativo vigente. Il paziente oncologico, infatti, in forza del D.M. Sanità n. 329/1999 infatti è titolare della tessera di esenzione con codice 048, che dà diritto all’esenzione dal pagamento del ticket per farmaci, visite ed esami appropriati per la cura del tumore da cui è affetto e delle eventuali complicanze, per la riabilitazione e per la prevenzione degli ulteriori aggravamenti. La tessera è rilasciata dall’Azienda USL competente.
Tenuto conto di tale previsione e nell’ottica di eliminare, in questa fase di emergenza sanitaria epocale, livelli di burocrazia che espongono i malati a ulteriori rischi, l’art. 26 del decreto “Cura Italia” dovrebbe essere modificato nel senso di prevedere la possibilità per il lavoratore di autocertificare la propria condizione di malato oncologico, già nota alla Pubblica amministrazione sanitaria, direttamente al datore di lavoro al fine di beneficiare delle specifiche tutele connesse alla sua condizione. L’autodichiarazione potrà essere documentata successivamente per consentire eventuali controlli.
Mantenendo l’attuale formulazione della disposizione, si corre infatti il rischio che il lavoratore paziente oncologico, per evitare conseguenze pregiudizievoli, possa scegliere il ritorno al lavoro, anziché la sospensione dal servizio, in danno della propria salute.
La modifica, proposta nell’ottica della semplificazione procedurale e della condivisione tra pubbliche amministrazioni delle informazioni di cui esse siano già in possesso, risulta necessaria affinché la previsione di cui all’art. 26 del decreto “Cura Italia”, che colloca correttamente i malati di cancro tra i soggetti destinatari di tutela rafforzata, sia concretamente applicabile.
Francesco De Lorenzo
Presidente Favo
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