Nel corso dei lavori della XV Giornata Nazionale del Malato Oncologico, FAVO ha avuto il piacere di ospitare - alla presenza dell'autore Giangiacomo Schiavi - la presentazione del libro “Il mistero della Notte. Una diagnosi per Michelangelo”.

Con piacere ne riproponiamo in questa pagina le immagini video, accompagnate dalle riflessioni sul testo della Dott.ssa Roberta Tancredi, Psicologa Psicoterapeuta, membro del Forum Lacaniano in Italia (FLaI):

Riflessioni intorno al libro di Giangiacomo Schiavi:

“Il mistero della Notte. Una diagnosi per Michelangelo”.

La cosa più bella che possiamo sperimentare
è il mistero;
è la fonte alla base di ogni vera arte
e della scienza.
(Albert Einstein, 1934)

Riflettendo sull’interessante libro di Giangiacomo Schiavi mi è venuta in mente questa frase che Einstein scrive in “Come io vedo il mondo”, perché è proprio l’enigma il filo conduttore di quest’opera in cui si parla anche di arte e di scienza e, quindi, di vita.

Come ci informa l’autore, l’opera è dedicata a Gianni Bonadonna, uno dei padri fondatori della moderna oncologia, che, capendo per primo la rilevanza della multidisciplinarietà nella cura di chi si ammala, ha lavorato gomito a gomito con il chirurgo Umberto Veronesi presso l’Istituto Nazionale dei Tumori a Milano, ricercando, sperimentando e validando un protocollo nuovo, capace di evitare alle donne la mastectomia totale e lo svuotamento del cavo ascellare in caso di tumore al seno; con evidente guadagno in termini di prognosi favorevole e di miglioramento della qualità della vita.

Nel libro troviamo quello che potrebbe essere il titolo per esteso, ovvero quello dell’ultima lectio magistralis del famoso oncologo ad un congresso a New York, città in cui iniziò la sua rivoluzionaria pratica medica.

La Notte. Diagnosi per Michelangelo. Tumore al seno. Appunti per una cura.

A partire da una suggestione sulla (mal)fattura del seno della donna scolpita da Michelangelo per rappresentare la stagione della Notte sulla tomba di Giuliano de’ Medici, si snoda un viaggio tra le allegorie che l’arte sa anticiparci, sul rapporto tra le stagioni della vita, tra la salute, la malattia e la morte, sui sogni che guidano e incoraggiano le nostre opere, ma anche sugli incubi attraverso cui sembra irrompere l’angoscia della perdita.

Un tema quanto mai attuale, dove il punto di ancoraggio è dato proprio dalla cura.

Un trattamento che passa per i protocolli, ma che non si esaurisce in un’esecuzione di standard procedurali, perché attraverso l’accoglienza e l’ascolto della sofferenza di chi patisce, si possono prendere nuove e inaspettate direzioni.

La sfida di fare “una diagnosi per Michelangelo” ha concesso al famoso oncologo un pretesto per soffermarsi sulla storia e sulle espressioni della paziente, fermate e immortalate in un blocco marmoreo che non può più essere interrogato.

Se durante gli anni di lavoro in reparto le parole erano maggiormente quelle dei grandi condottieri, che non potevano indugiare nell’incertezza, correndo e lottando “per dare tempo e vita ai malati”, la Notte rappresenta l’occasione di procedere con un altro tempo e un nuovo sguardo.

Perché la Notte è anche quella che ha visitato il celebre professore attraverso gli effetti di una malattia cardiovascolare, che l’ha trasportato dall’altra parte del rapporto di cura, facendolo entrare in contatto col fatto che “il miglior medico è il malato”, in quanto è il paziente che può utilizzare quegli strumenti e quegli aiuti che la cura offre, mettendo in campo fiducia e speranza, scegliendo, nonostante i dolori, le fatiche e le perdite, di non identificarsi con la sua mancanza. Questo scatto e questo scarto, osserva Schiavi, attraverso le parole della figlia del suo personaggio, è possibile se si accetta la diversità, “anche quando l’accettazione è impegnativa, faticosa e provoca pure un certo fastidio, anche quando fa male”.

È proprio su un inciampo del linguaggio che il libro si conclude, su un lapsus, determinato forse  anche dalle conseguenze della malattia sul cervello del professore, su un invito a guardare, che diventa occasione non per risolvere un mistero, ma per lasciarlo aperto sulla condizione dell’uomo, sulla sua finitezza, ma anche sulle sue risorse e capacità di reazione verso la vita, una vita meno tecnologica, meno performante, ma più umanizzata, anche a partire dalla ferita che si incarna nel corpo.

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