di Cristina Ferrario
La diagnosi precoce, i miglioramenti delle tecniche chirurgiche e farmaci sempre più efficaci hanno fatto aumentare notevolmente il numero delle persone guarite dal cancro o che, dopo opportune terapie, con il cancro convivono per molti anni. Solo nel nostro Paese le persone con un’esperienza di tumore sono oltre un milione e 700 mila e nei prossimi anni queste stime sono destinate a crescere: nel 2010 si supererà la soglia dei 2 milioni. È cambiata dunque la prospettiva: il malato oncologico non è più una persona che deve pensare solo a sopravvivere alla malattia, ma un individuo che deve avere la possibilità di continuare a vivere una vita di qualità sotto tutti i punti di vista, da quello clinico a quello psicologico e sociale.

UN’INDAGINE SU CIÒ CHE C’È
Perché una persona possa tornare a essere davvero ‘quella di prima’, molte volte la cura non basta: c’è bisogno anche di uno specifico programma di riabilitazione, ma in Italia il sistema sanitario non ha ancora lavorato con attenzione su questo aspetto o lo ha fatto in modo diseguale sul territorio nazionale.
La questione è resa particolarmente complessa anche dal fatto che il cancro non è una sola malattia: ogni persona, a seconda del tipo di tumore che l’ha colpita, delle cure effettuate, degli interventi e persino della propria personalità, avrà dei deficit residui diversi, che vanno curati con strumenti che vanno dalla ginnastica alla logopedia fino alla terapia psicologica. Partendo da queste osservazioni la FAVO (Federazione italiana delle associazioni del volontariato in oncologia) assieme all’Istituto nazionale tumori di Milano si è fatta promotrice di un progetto di analisi della situazione attuale e di proposte sul tema della riabilitazione in oncologia. È nato così il programma ‘Ho cura’, sostenuto dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, con lo scopo di promuovere iniziative concrete per risolvere i bisogni riabilitativi dei malati di cancro. Ne è venuto fuori anche un ‘Libro bianco sulla riabilitazione oncologica’, primo frutto del lavoro congiunto di associazioni di volontariato, associazioni scientifiche e strutture di ricerca e cura, che rappresenta un importante strumento di informazione e proposte sul tema. Nelle oltre 200 pagine che includono anche il primo censimento delle strutture esistenti, vengono analizzati i risvolti clinici, sociali ed economici della questione.

UNA NUOVA IDEA DI RIABILITAZIONE
La prima richiesta che emerge dal Libro bianco è la necessità di un cambiamento radicale del modo di intendere la riabilitazione. “Oggi non può più bastare la vecchia definizione che intende una serie di interventi fisici per recuperare la funzionalità di un organo” spiega Francesco De Lorenzo, presidente FAVO. “La nuova riabilitazione è di tipo multidisciplinare e ha come obiettivo ultimo la qualità della vita del malato di cancro”. Non si deve insomma riabilitare solo l’organo, ma la persona nella sua totalità. Questo nuovo concetto di recupero dopo la malattia è contenuto anche nelle Conclusioni in materia adottate dal Consiglio dell’Unione europea nell’aprile 2008, ma diffonderlo in Italia non è s e m p l i c e . Lo sanno benissimo le associazioni di volontariato che ogni giorno sono a fianco dei malati e lottano per affermare i loro diritti. “La storia della riabilitazione è nata con il volontariato, molto prima che le istituzioni se ne occupassero” afferma De Lorenzo. E infatti, solo per citare un esempio, sono stati i volontari dell’AILAR (Associazione italiana laringectomizzati) i primi maestri nell’insegnare a parlare ai pazienti che subivano interventi alla laringe e oggi questi volontari sono ancora presenti negli ospedali a fianco dei medici. “C’è la necessità di creare una vera e propria cultura della riabilitazione nei medici, ma anche e soprattutto nei malati che devono conoscere il loro diritto a essere riabilitati” afferma De Lorenzo.

DALLA DIAGNOSI ALLE CURE PALLIATIVE
Se riabilitare il paziente oncologico significa prendersi cura di tutti gli aspetti della vita della persona, è evidente che l’oncologo da solo non può bastare. Serve un’équipe di specialisti in grado di predisporre una vera e propria terapia riabilitativa personalizzata, costruita su misura sulle esigenze del singolo. Per fare un esempio concreto, anche a parità di malattia i bisogni di un bambino malato non possono essere uguali a quelli di un cinquantenne e, di conseguenza, anche i trattamenti riabilitativi dovranno essere differenti. Non solo. La nuova riabilitazione deve necessariamente iniziare al momento della diagnosi, per esempio con un sostegno psicologico in grado di aiutare il paziente ad accettare la nuova situazione, e deve accompagnare il malato anche dopo la sua dimissione dall’ospedale. Le persone che incorrono oggi in un tumore sono spesso adulti nel pieno della vita sociale e professionale e devono essere aiutate, per esempio, a ricostruire una soddisfacente attività professionale, una buona vita di relazione e di coppia, con attenzione anche ad aspetti un tempo trascurati come la ripresa della sessualità. Persino nelle fasi terminali della malattia la riabilitazione è importante: anche se non garantisce il recupero di una funzione fisica, può sicuramente migliorare la qualità del vissuto quotidiano.

UNA FORMA DI INVESTIMENTO
“Il tumore rappresenta oggi una nuova forma di disabilità di massa” afferma De Lorenzo commentando i dati dell’INPS secondo cui oltre un terzo di tutte le richieste di invalidità e inabilità accolte dall’ente previdenziale nell’ultimo decennio sono legate a malattie oncologiche (32 per cento contro il 21 per cento delle malattie del sistema circolatorio). Inoltre un malato di cancro ancora attivo dal punto di vista professionale peserà sul bilancio dell’azienda in termini di assenze per esami medici e terapie. Già da queste osservazioni molto generiche appare chiaro come il tumore abbia dei costi socioeconomici non indifferenti per lo Stato. Secondo quanto si legge nel Libro bianco, il primo passo verso la soluzione del problema è l’adozione di un nuovo modello di sanità che non si limiti a fornire prestazioni, ma che si preoccupi di valutare l’efficacia dei propri interventi in termini di qualità di vita degli assistiti. “In questo contesto la spesa destinata alla riabilitazione non può che essere vista come un investimento” conclude De Lorenzo.


ESEMPI VIRTUOSI

Sono solo tre le regioni italiane che hanno inserito la riabilitazione oncologica in programmi strutturati ad hoc: Piemonte-Valle d’Aosta, Toscana e, dal 2008, anche Umbria. Molto recentemente anche la Lombardia ha inserito alcune forme di riabilitazione oncologica nel nuovo piano della Rete oncologica lombarda. Il “Programma di riabilitazione per i malati di cancro” piemontese nasce nel 2003 e si colloca all’interno della Rete oncologica Piemonte-Valle d’Aosta, la prima in Italia, con lo scopo di integrare i percorsi di diagnosi, terapia e riabilitazione e quindi per poter soddisfare al meglio i bisogni del malato. In Toscana è attivo invece il CE.RI.ON., Centro regionale di riabilitazione oncologica in rete, nato con l’obiettivo di trovare adeguati servizi riabilitativi per tutte le fasi della malattia oncologica. Le esperienze di Piemonte e Toscana sottolineano come sia possibile realizzare una rete di sostegno efficiente senza chiedere finanziamenti aggiuntivi, con l’aiuto di una normativa regionale specifica, di una attenta organizzazione dei servizi sanitari e della collaborazione con le associazioni presenti sul territorio.

UNA CLINICA PER CHI E' GUARITO

Dallo scorso mese di giugno è attiva presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (Pordenone) una clinica rivolta ai pazienti oncologici guariti o con almeno cinque anni di assenza della malattia e attualmente non sottoposti a terapie contro il tumore. Ma a cosa serve una clinica se il paziente è guarito? “Questa è una clinica speciale alla quale si possono rivolgere tutti i pazienti italiani che hanno avuto una diagnosi di tumore per ricevere informazioni sullo stato del loro recupero sotto tutti i punti di vista” spiega Francesco De Lorenzo, presidente della FAVO. Non si tratta dunque di un posto dove si consulta l’oncologo, ma di un centro dove sono presenti specialisti di diverse discipline, inclusi gli psicologi, che lavorano con lo scopo di dare al paziente tutte le indicazioni per una migliore qualità della vita. Il progetto è finanziato dal Ministero della salute e realizzato in collaborazione con diversi IRCCS (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico). Al momento i servizi, erogati attraverso il sistema sanitario nazionale, sono rivolti a persone che hanno avuto diagnosi di linfomi o tumori della mammella, gastro-intestinali, ginecologici e genito-urinari.