La proposta: sviluppare strumenti per l’ottimizzazione delle relazioni con assistiti e famiglie - Il nodo della formazione
Il documento Aiom-Sicp messo a punto con associazioni di pazienti e con altri specialisti per rilanciare la qualità nel rapporto tra operatori e cittadini
Condivisione per iniziare un percorso comune
Il documento pubblicato in queste pagine sul tema della umanizzazione in medicina, con particolare riferimento all’oncologia, è stato prodotto da un gruppo di esperti di diverse discipline, pazienti, rappresentanti di associazioni di volontariato e aziende farmaceutiche, che si sono riuniti al Centro Ettore Maiorana di Erice, dal 25 al 27 giugno 2008, per iniziativa della Fondazione SmithKline. Lo scopo del seminario, patrocinato da Aiom (Associazione italiana di Oncologia medica) e Sicp (Società italiana di cure palliative), è stato quello di condividere un documento sull’umanizzazione nel percorso di cura del malato oncologico, lungo tutte le fasi della malattia. Il documento, spiegano gli autori, frutto della condivisione dei partecipanti, non vuole essere solo la documentazione di quanto discusso e concordato, ma l’inizio di un percorso che si propone di diffondere, implementare, migliorare e, soprattutto, trovare gli strumenti per misurare e fare ricerca, sugli aspetti dell’umanizzazione in oncologia. E tra le azioni operative che prevede, proprio in questo ci sono tra l’altro lo sviluppo di strumenti da rendere disponibili agli operatori per favorire/ migliorare la comunicazione, l’attivazione di progetti di ricerca per sviluppare e validare indicatori di qualità delle cure che siano pertinenti al modello di umanizzazione e l’introduzione sistematica di strumenti di rilevazione del dolore e di altri outcome di tipo soggettivo e qualitativo sia nel management del paziente sia soprattutto in formali momenti di ricerca clinica.
Umanizzazione è oggi un termine troppo inflazionato e che si presta a diverse interpretazioni. Il rischio che si corre è di banalizzare un concetto molto profondo e ricco di significati umani, svuotandolo di fondamentali contenuti per la comprensione che devono invece poter essere riconosciuti, valutati e misurati. La scelta del termine stesso da parte degli organizzatori del convegno, indica comunque l’identificazione di un problema, che implica e richiede delle riflessioni e un cambiamento. La medicina come viene oggi praticata suscita infatti una certa insoddisfazione, perché non risponde completamente ai bisogni sentiti dalle persone malate e dai loro famigliari. Umanizzazione (cioè rendere più umano) significa porre il malato al centro dell’attenzione e della cura; di conseguenza, si tratta di un modus operandi che condiziona ogni scelta strutturale e organizzativa in medicina e in sanità, e ogni atto sanitario, medico,infermieristico, o altro. Per umanizzazione intendiamo dunque lo «sforzo comune della medicina e del sistema sanitario nel suo complesso, e dei singoli professionisti, di adeguarsi al mondo (punto-divista) del singolo malato». Umanizzazione è anche prendersi cura delle speranze di ciascun malato. L’umanizzazione costituisce il principale fattore determinante di una buona medicina. Ciò può realizzarsi solo attraverso il coinvolgimento e cambiamento di tutte le parti (stakeholders) coinvolte.
Il contesto dell’oncologia
Le peculiarità della patologia tumorale e della relazione medico-malato che spesso si sviluppa nel corso di diversi anni, con importanti cambiamenti “dinamici” degli obiettivi di cura e di vita (dal sospetto diagnostico alla fase delle cure primarie, spesso ma non sempre curative, fino alla eventuale progressione), rende l’oncologia un punto d’osservazione privilegiato per rilevare il bisogno di umanizzazione e identificare gli ambiti di possibili approfondimenti e implementazioni. L’impegno delle istituzioni e dei singoli operatori deve iniziare in oncologia dalla prevenzione dei tumori in tutte le sue forme: dalla educazione a stili di vita sani agli screening,ove indicati (si vedano le tabelle A e B). Verso una umanizzazione dell’oncologia Nella maggior parte delle patologie prevalenti è utile porre una distinzione tra due fasi, quella iniziale (sospetto clinico, diagnosi e stadiazione, complesso delle cure primarie e successivo followup), e quello della progressione ed eventuale terminalità (controllo della malattia, terapie di supporto e cure palliative ecc.) (si vedano le tabelle 1 e 2).
Punti critici/Aree d’intervento
La formazione di tutti coloro che operano in Sanità a vario livello è oggi l’elemento più carente ma indispensabile per realizzare l’umanizzazione in Sanità. La formazione deve iniziare dai corsi di laurea in Medicina, scuole di specializzazione, master per direttori generali, cure palliative, di dipartimenti e scienze infermieristiche, aprendo gli operatori a un confronto multidisciplinare sulle medical humanities con filosofi, antropologi, psicologi, bioeticisti, pedagogisti ecc. Anche la ricerca in medicina e in Sanità è carente in quanto per ovvi interessi dei principali finanziatori (industria farmaceutica e organi pubblici) si tende a privilegiare lo sviluppo di tecnologie avanzate e innovative ad alto ritorno economico e finanziario invece di studiare percorsi e modelli assistenziali che migliorino aspetti qualitativi della vita. Da ciò deriva l’assenza di evidenze sul reale beneficio e valore della maggior aprte degli interventi disponibili, la mancanza di indicatori per il rilievo della qualità dell’umanizzazione, la scarsezza di indicatori di prognosi per le decisioni in momenti critici della storia del paziente (abbandono delle terapie anti-tumorali, passaggio alle cure palliative, cambiamenti dei setting di assistenza ecc.).
Raccomandazioni generali
Molti membri del panel hanno suggerito la necessità di identificare un messaggio “forte”, che permetta di diffondere e divulgare i temi di una medicina più basata sull’uomo e sulla sua speranza (di quantità e qualità della vita), a livello medico-sanitario e laico. L’esempio di riferimento, pur responsabile di alcuni misunderstanding e false attese, resta quello della “battaglia contro il cancro” con relative implicazioni su obiettivi temporali e tangibili, per quanto difficilmente realizzabili, di “una vittoria in tempi certi”. La discussione è stata vivace anche sul termine stesso di “medicina palliativa”, che appare nell’attuale contesto di una società molto dinamica, liquida e “veloce”, poco adatta a momenti di comunicazione. Anche il fattore “tempo” (da dedicare al malato e a se stessi), è una variabile sensibile per rendere la medicina più umana e risente dei ritmi e dei valori della società; pertanto può rendersi realmente disponibile solo attraverso un cambiamento culturale che lo deve comprendere come essenziale per una medicina umana, ed elemento terapeutico per il malato, e che porti a modificare il sistema e di conseguenza l’organizzazione in Sanità. È necessario poi implementare la formazione deglioperatori sanitari nel settore dell’umanizzazione, attraverso la cultura delle medical humanities. L’acquisizione di competenze specifiche, per instaurare una relazione efficace di cura con il malato e all’interno dello staff, e per l’accompagnamento nella fase avanzata terminale di malattia deve essere obbligatoria, iniziare dalla Università e scuole di specializzazione, e proseguire attraverso la Fmc. È auspicabile creare occasioni di confronto (per esempio attraverso l’analisi di situazioni cliniche) tra operatori della Sanità e comitati di bioetica, per condividere competenze e soluzioni “teoriche”, con competenze e situazioni cliniche specifiche. Altro passaggio raccomandato è quello di implementare la collaborazione tra le associazioni di volontariato e operatori sanitari, per favorire una corretta informazione al malato, indirizzo di centri e luoghi dove poter ricevere adeguate cure, informazioni sulle strutture che assistono il malato in fase avanzata terminale. Bisogna poi introdurre nella valutazione degli operatori e delle équipes indicatori del l’umanizzazione (a esempio qualità del consenso condiviso, organizzazione dell’assistenza simultaneous care, programmi di verifica costumer satisfaction ecc.). Ancora è necessario introdurre nelle ricerche cliniche di tipo farmacologico e chirurgico formali misurazioni del punto di vista del paziente (patient-reported-outcomes) in modo da poter disporre, al momento della valutazione del rischio-beneficio e della cost-effectiveness anche di outcomed ed endpoints di tipo umanistico (preferenze, opinioni e formali valutazioni della qualità della vita).