Un’indagine per comprendere l’importanza del valore del tempo e della qualità della vita nei malati di cancro, nei loro familiari, amici, conoscenti: in totale circa 10 milioni di connazionali, 1 italiano su 6. In Italia si calcolano oltre 270 mila nuovi casi l’anno, tra i più frequenti il tumore al colon retto (48.000 casi), alla mammella (primo tra i tumori femminili con 40.000 nuove diagnosi) e il tumore al polmone (32.000 nuovi casi, la neoplasia più diffusa nella popolazione maschile di età superiore ai 40 anni e tra quelle a più elevata mortalità).
Tematica cruciale, dunque, per 1,7 milioni di italiani (oltre 1,9 milioni stimati per il 2010) che hanno conosciuto la malattia e per chi sta loro vicino; riflessioni che evidenziano soprattutto l’importante progresso fatto dalla medicina nella lotta contro il cancro, permettendo ai malati di aumentare il tempo di vita e di migliorarne la qualità.
Questi gli aspetti principali che emergono dalla ricerca “Vivere con il cancro”, realizzata da Federazione Italiana Associazioni di Volontariato in Oncologia (F.A.V.O.) e GfK Eurisko con il supporto di Roche. L’indagine ha voluto approfondire quale sia il significato e il valore del tempo nei malati oncologici e nei care givers (l’intera sfera relazionale), costruendo uno spazio libero in cui raccontare, confrontare e condividere esperienze e opinioni riguardanti le attese sulla qualità della vita e la dimensione del tempo in relazione alla malattia.
Questa indagine, illustrata nel corso di un incontro svoltosi ieri a Milano, ha portato una luce nuova e più concreta sui grandi progressi della medicina nella lotta contro il cancro. Un’indagine del genere solamente pochi anni fa non avrebbe avuto senso. Il tempo a disposizione dei malati di cancro in fase di recidiva non lasciava spazio a riflessioni sulla qualità della vita e sul valore del tempo.
“Non sono stati scoperti, né è realistico attenderselo, farmaci che da soli consentano la guarigione in condizione di malattia avanzata. Tuttavia, solo 10 anni fa il carcinoma del colon-retto era invariabilmente inguaribile l'aspettativa media di vita di 10 mesi circa; oggi, anche in condizioni di malattia avanzata, la guarigione è ancora possibile, anche se rara, e l'attesa media di vita è più che raddoppiata – ha affermato Alberto Sobrero, Responsabile della Divisione di Oncologia Medica dell’Ospedale San Martino di Genova - Questi risultati sono resi possibili dalle nuove terapie, ad esempio quelle anti-angiogenetiche come bevacizumab, che hanno permesso passi, piccoli a prima vista, ma importanti per chi ha una malattia cosi grave”.
La priorità è avere tempo per godersi la vita fino in fondo e godere di una vita a cui viene restituito valore. “Questo bisogno, sperimentato personalmente come malato di cancro, non è sempre compreso da chi non vive direttamente la malattia – ha sottolineato Francesco De Lorenzo, Presidente F.A.V.O., l’associazione che riunisce oltre 90 reti di volontariato su tutto il territorio nazionale - La ricerca, particolarmente originale, ha utilizzato una metodologia molto innovativa per evidenziare le difficoltà e i successi quotidiani che caratterizzano la vita dei pazienti affetti da tumore”.
“Abbiamo chiesto a 40 pazienti affetti da carcinoma della mammella e del colon retto in fase di recidiva e ai loro famigliari di raccontarsi in due forum protetti su Internet: due focus group on-line – ha spiegato Claudio Bosio, Vicepresidente GfK Eurisko - È nato un vero e proprio diario a più voci in cui sono emersi bisogni, ma soprattutto significati legati a una nuova dimensione e a un diverso valore assunto dal tempo dopo l’incontro con la malattia. Ed è proprio il tempo presente, fatto di attimi, traguardi immediati, semplici attività quotidiane ad avere il più grande valore per i pazienti”.
Un’affermazione che trova concorde anche Napoleone Ferrara, ricercatore catanese membro dell’importante National Academy of Science americana e da anni impegnato nei laboratori Genentech di San Francisco, dove ha messo a punto il capopstipite degli anti-angiogenetici. “Farmaci come bevacizumab – ha affermato - aumentano l’efficacia della chemioterapia e ne attenuano gli effetti collaterali. Il risultato è che i pazienti vivono più a lungo e con una migliore qualità di vita, anche negli stadi più avanzati della malattia.
Dopo decenni di studio siamo arrivati allo sviluppo di un anticorpo monoclonale - bevacizumab - che si sta dimostrando, per il peculiare meccanismo d’azione, efficace contro diverse forme di cancro - Infatti, è di pochi mesi fa la notizia dell’approvazione del farmaco in Italia per quattro neoplasie in fase avanzata: mammella, polmone non a piccole cellule, rene e un uso più ampio per il tumore del colon-retto - Bevacizumab interviene sui meccanismi che controllano l’angiogenesi, la formazione dei vasi sanguigni che portano nutrimento alle cellule tumorali, inibendola – ha concluso Ferrara - In questo modo ostacola la crescita del tumore e lo tiene sotto controllo, privandolo del nutrimento e dell’ossigeno necessari: in pratica “affamandolo”, con un’azione che può applicarsi a molti tipi di tumore”.
Così, per i 10 milioni di italiani che devono confrontarsi quotidianamente con il cancro, come malati e come familiari di un paziente, si aprono scenari e riflessioni impensabili fino a poco tempo fa, quando un malato oncologico in fase metastatica non aveva una speranza di vita che potesse come oggi allungarsi di molti mesi e anche anni, potendo soprattutto condurre una vita quasi normale.
Ma l’indagine ha avuto importanti risultati anche sotto il punto di vista metodologico, per la possibilità data ai malati e ai care givers di sentirsi realmente coinvolti, con un ruolo attivo nel racconto delle proprie esperienze e nello sviluppo delle proprie riflessioni. Una possibilità data dalla creazione di un Forum Online in cui scambiare esperienze e riflessioni, dalle più intime alle più dolorose, con persone in grado di capire e condividere un’esperienza simile.
A testimonianza del coinvolgimento, il Forum Online si è trasformato in un diario a più voci in cui i partecipanti si sono aperti fino ad arrivare alla costituzione di una vera Community in cui tutti erano legati dalla condivisione della malattia. Le possibilità d’interazione del web 2.0 hanno fatto sì che le persone abbiano costruito delle relazioni di reciproco supporto emotivo, in alcuni casi arrivando a presentarsi al gruppo con nome e cognome e dando recapiti personali per mantenere il contatto. Ne è conseguito un grande attaccamento al gruppo di ricerca, con la richiesta di mantenere aperto il forum anche dopo la conclusione dell’indagine, trasformando così un Forum Online da strumento di ricerca a Blog autogestito che tutt’ora è attivo.
L’indagine ha portato alla luce una rappresentazione del cancro che ha nei pazienti e nei care givers una diversa prospettiva. Se da parte dei malati è emersa un’accettazione silenziosa della malattia e un conseguente sviluppo di grande attaccamento alla vita, con sentimenti di ottimismo e determinazione, sono invece i parenti quelli che provano sentimenti di impotenza, costantemente concentrati sulle difficoltà dell’assistenza e con una evidente focalizzazione sull’ineludibilità della fine.
Così, non solo il paziente è ammalato ma lo diventa tutta la famiglia, una lotta congiunta dove l’obiettivo non è sconfiggere la malattia ma bloccarla, rallentarne il corso e soprattutto non farsi sopraffare. E il tempo acquista dunque un valore esistenziale di grande importanza. Nella percezione del tempo dei care givers si oscilla continuamente tra passato e futuro, con i rimpianti appartenenti alla sfera dei ricordi passati e il terrore di porsi domande sul futuro, mentre nei pazienti si è riscontrata una grande attenzione sul presente, con le sue battaglie e le soddisfazioni quotidiane per andare avanti con determinazione e godersi il tempo a disposizione. Il tempo dunque ha nuove unità di misura per i pazienti, scandito com’è non solo dai controlli ma anche e soprattutto dalle piccole gioie, come sorrisi e carezze, momenti di condivisione con i propri cari.
Dubbi, timori, speranze legate alla sopravvivenza, piccole gioie, aspettative e progetti per il futuro: è qui che scienza e filosofia si incontrano. Le tematiche espresse e approfondite nella ricerca sono vere e proprie riflessioni filosofiche che affondano le radici nel pensiero del ‘900 e si aprono a prospettive moderne. Grandi scuole di pensiero, come quella fenomenologica, hanno indagato la dimensione temporale della vita facendo coincidere il significato profondo dell’esistenza umana con il tempo inteso come sua essenza. Così l’esistenza acquista senso solo se è autentica, proprio per il suo fatto di essere limitata da un’orizzonte temporale: coloro per i quali questo orizzonte è più delineato colgono con grande precisione il valore di ogni attimo della vita e attribuiscono ad ogni suo istante un valore assoluto.
Nell’indagine, infatti, il concetto di qualità della vita viene ridefinito dai pazienti in base a cosa si fa nella quotidianità, dal riuscire a fare le cose che si facevano prima (come lavorare, uscire con gli amici, fare sport) all’essere autosufficienti fino a sentirsi utili. Un modo di poter godere del presente senza rimorsi e malinconia verso il passato e senza angoscia per il futuro, focalizzandosi su una gestione del tempo a “medio-breve” termine, ponendosi dei piccoli traguardi (come accompagnare i figli a scuola o fare un week-end con la famiglia) e guardando ad un futuro più lontano (scrivendo un libro, creando associazioni di volontariato o portando avanti la propria azienda).
I parenti invece navigano a vista, tra la difficoltà di riuscire a progettare a breve termine e il costante paragone con quello che si riusciva a fare prima della malattia, vivendo sempre in una continuo stato d’allerta. E’ qui che filosofia e scienza iniziano un percorso comune nell’analisi e nella valutazione della situazione del malato, andando ad esprimere considerazioni possibili solamente grazie ai grandi progressi fatti dalla scienza e dalla medicina in particolare.
Il tema della condivisione del tempo con la malattia nelle relazioni sociali è cruciale per i pazienti e i loro care givers. Nella progettazione di una buona vita quotidiana si chiede supporto al sistema sanitario, che viene percepito come alleato e vicino ma a cui si chiede una maggiore sensibilità alla dimensione psicologica dell’esperienza di malattia (a tal riguardo molto valorizzata è la figura dello psiconcologo). Inoltre, anche la sfera delle amicizie e del gruppo sociale sembra avere molta importanza, risulta infatti fondamentale mantenere buone relazioni sia con persone che non condividono la propria esperienza di malattia per continuare ad avere esperienze normali, sia con persone che condividono le stesse difficoltà e sofferenze al fine di condividere un progetto di vita comune, in cui impegnarsi insieme.
Infine, l’indagine fa emergere un’altra importante divergenza nelle riflessioni dei pazienti e in quelle dei care givers, riguardo alle attese e alle richieste. Le aspettative e richieste dei pazienti non sono relative alla speranza di sconfiggere la malattia per sempre, ma di tenerla sotto controllo e di mantenere una buona quotidianità nel presente. Mentre per i care givers le aspettative sono proiettate sul futuro, nella speranza che l’intervento terapeutico e medico possano avere successo nel contrastare la malattia e possano allungare le aspettative di vita, rivelando dunque tutta la difficoltà di accettare la malattia del proprio caro e l’inesorabilità della fine.
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