di Vera Martinella

MILANO - Avere un figlio, dopo aver superato una patologia grave come il tumore al seno, oggi è possibile. E lo di può fare in piena sicurezza per mamma e bambino. Ancora poche donne però sfruttano l’opportunità offerta dai più recenti progressi scientifici.

Sono circa 2.420 le donne in età fertile (tra i 15 e i 49 anni) che ogni vengono colpite da un carcinoma mammario in Italia, con tassi di guarigione vicini al 90 per cento. Circa un terzo di loro non ha ancora avuto un figlio al momento della diagnosi e garantire la possibilità di diventare madri è fondamentale per la loro qualità di vita futura.  I chemioterapici compromettono spesso l’eventualità di una gravidanza perché, riducendo il numero di follicoli nelle ovaie, provocano una menopausa precoce. Oggi però è possibile congelare gli ovuli prima dell’inizio della terapia per poi procedere, a guarigione avvenuta, alla fecondazione in vitro. E una nuova ricerca, l giunta alla fase più avanzata della sperimentazione, ha dimostrato che è possibile ridurre la menopausa precoce dal 50 al 30 per cento grazie a un farmaco (la triptorelina) che mette a riposo le ovaie prima di iniziare il trattamento, risparmiando loro gli effetti tossici della cura.

PENSARE AL DESIDERIO DI MATERNITA’ PRIMA DI INIZIARE LE CURE - In Italia si stima che il 40-70 per centodelle donne colpite da tumore al seno abbia problemi di fertilità, prevalentemente a causa della chemioterapia. Per salvaguardare la capacità riproduttiva dagli effetti tossici delle terapie e avere in futuro il massimo delle possibilità di avere un figlio, sarebbe insomma opportuno che, prima di iniziare qualsiasi cura, tutte le donne con diagnosi di neoplasia alla mammella si sottoponessero al congelamento dei propri ovociti. «La crioconservazione rappresenta una grande speranza per le pazienti che non intendono rinunciare alla maternità – ha spiegato Andrea Borini, presidente della Società italiana di conservazione della fertilità, durante un simposio organizzato nei giorni scorsi a Roma da Merck Serono -. Dopo l’entrata in vigore della legge 40 nel 2004, nel nostro Paese la tecnica di congelamento degli ovociti è stata molto affinata e ha prodotto risultati sempre migliori: basti pensare che, in questi sette anni, la percentuale di recupero di ovociti scongelati è passata dal 50 all’80 per cento. Mentre la percentuale di successo della procreazione medicalmente assistita con l’impiego di ovociti crioconservati è passata dal 12 per cento iniziale fino a livelli che si attestano al 25-26 per cento.Importanti prospettive riguardano anche la più recente tecnica di crioconservazione e trapianto di tessuto ovarico che, ad oggi, ha portato alla nascita di 13 bambini».

SICUREZZA TOTALE, PER LA MAMMA E PER IL NEONATO - Le statistiche dimostrano che attualmente solo una percentuale minima (fra il tre e il sette per cento) delle pazienti colpite da tumore mammario in età fertile ha successivamente una gravidanza. Perché le terapie che compromettono l’apparato riproduttivo della donna, certo. Ma anche perché il forte impatto emotivo della patologia che può dissuadere le interessate, una volta guarite, dalla ricerca di un figlio. «E’ bene chiarire – ha concluso Fedro Peccatori,direttore dell’Unità fertilità e procreazione in oncologia all’Istituto europeo di oncologia di Milano (Ieo) - i cambiamenti ormonali prodotti dallo stato di gravidanza non aumentano in nessun modo il rischio di recidive nella donna. Né una chemioterapia, purché terminata da almeno un anno, influisce su uno sviluppo sano del feto: sulla base dei dati disponibili, insomma, non risulta nessun aumento del tasso di malformazioni neonatali. Prima di affrontare una gravidanza sarebbe però necessario aspettare due anni per superare il periodo di possibile recidiva, comunque correlato alla neoplasia, e per concludere le terapie ormonali previste».

Fonte: Corriere.it/Sportello Cancro

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