Oncologi e associazioni: «Ha dato voce a giovani e adolescenti malati». Ma c'è chi accusa: «L'uomo ha deluso»
Fonte: Corriere della Sera del 15/10/2012
MILANO - «Un uomo carismatico, forte, ma anche timido, che parla della sua malattia con semplicità, come potrebbe fare chiunque. Un uomo che sa dare forza a chi si trova nelle sue stesse condizioni». Così Elisabetta Iannelli, vicepresidente dell’Associazione italiana malati di cancro (Aimac) e segretario nazionale della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (F.A.V.O.), parla di un uomo che in questi giorni è sotto i riflettori per «il più sofisticato, professionale e vincente programma di doping che lo sport abbia mai visto»: Lance Armstrong. Un uomo che ha fatto della sua battaglia contro il cancro una battaglia comune, che ha trasformato la sua malattia in "occasione" per parlare ai ragazzi, a tutte le persone malate di cancro dicendo loro: «Forza, puoi farcela». Un uomo che ha comunicato al mondo «ho un tumore ai testicoli» e se non è frequente che un malato oncologico parli del proprio male, questo vale soprattutto per chi viene colpito in una parte del corpo così delicata e "vitale". Un uomo che – se le accuse dell’Agenzia americana anti-doping si riveleranno vere – ha assunto sostanze dopanti (Epo, testosterone, corticosteroidi), fornendole anche ad altri corridori e mettendo così a rischio la salute di molti. Un uomo, due facce.
LA MALATTIA, IL RITORNO - «Ma il suo impegno per i malati di cancro, anzi per i sopravvissuti al cancro, è incredibile – scandisce Elisabetta Iannelli -. Come sportivo e come uomo può aver sbagliato, ma tutto quello che ha fatto non si cancella». Armstrong scopre di avere un tumore ai testicoli nel 1996, quando ha 25 anni. Dopo due anni di malattia e cure pesantissime (per metastasi al cervello e ai polmoni), nel ’98 il ciclista texano si sente dire dai medici che ha sconfitto il tumore. Il corpo, la forza, sono di nuovo a sua disposizione: torna subito in pista e dal 1999 al 2005 riesce in un’impresa pazzesca, vince sette Tour de France consecutivi. Proprio quei sette anni sono sotto la lente dell’Usada (U.S. Anti-Doping Agency), che sul suo sito ha pubblicato il rapporto: mille pagine di accuse, ricostruzioni, testimonianze soprattutto. Dopo la malattia Armstrong non ha solo collezionato trofei: ha anche fondato la Lance Armstrong Foundation e ideato un logo ("LiveStrong"), che si è diffuso in tutto il mondo grazie al famosissimo braccialetto giallo.
TESTIMONIAL VINCENTE - «Con la sua Fondazione sostiene e dà speranza ai pazienti di ieri e di oggi, a coloro che hanno vinto o stanno cercando di vincere un tumore – spiega Iannelli, che ha conosciuto Armstrong a Dublino nel 2009, a una convention organizzata dalla Fondazione per formare e sostenere le associazioni di pazienti in tutto il mondo -. È un testimonial forte e vincente, ha messo la sua esperienza al servizio di tutta la comunità, muovendo tantissime energie, ha avuto la lungimiranza di collaborare con le istituzioni oncologiche esistenti. Ha promosso la "World Cancer Declaration" e la Dichiarazione sulle malattie non trasmissibili emanata dalle Nazioni Unite. Tutto questo non viene cancellato dalle accuse di doping. Armstrong resta un esempio in cui tante persone si sono identificate trovando la motivazione e la forza per andare avanti». Resta il fatto che il 24 agosto l'Usada ha ufficializzato la decisione di squalificarlo a vita, annullando tutti i suoi risultati sportivi dal 1998 in poi, compresi i sette Tour de France, e il 5 settembre è uscito il libro dell'ex-compagno di squadra alla US Postal Tyler Hamilton dal titolo "The Secret Race", dove si descrivono dettagliatamente le pratiche dopanti adottate nella squadra ai tempi delle vittorie di Armstrong.
QUEI GIOVANI «ORFANI» - Ma resta anche il fatto che Lance Armstrong «è riuscito a dare voce agli adolescenti malati di tumore, un gruppo di pazienti che è sempre stato "orfano" perché poco ascoltato - come spiega Andrea Ferrari, oncologo pediatra dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano e coordinatore del Gruppo di Lavoro Tumori Rari e del Comitato Adolescenti dell’Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica (Aieop) –. Per i giovani adulti e gli adolescenti malati di tumore ai testicoli ha davvero cambiato la storia. Con risultati strabilianti. Ora la sua Fondazione è una "macchina da guerra" e ha raccolto fondi enormi per la ricerca». Grazie ad Armstrong, gli adolescenti e i giovani uomini sono usciti dal cono d’ombra, si sono sentiti liberi di parlare della propria malattia, hanno avuto più forza nell’affrontarla. Ma sono gli stessi giovani che in palestra o nelle gare sportive rischiano di assumere sostanze illegali, dopanti, per "dare di più". E allora, il modello luminoso rimane tale? Secondo Ferrari, doping o no, «Armstrong resta un esempio valido: è tornato a correre, ha vinto, si è rialzato, è tornato alla normalità. Ha fatto cose gigantesche. Ha sbagliato? Tornare alla normalità vuole anche dire tornare a sbagliare».
«L'UOMO HA DELUSO» - È più duro il commento di Stefano Cascinu, responsabile dell’Oncologia Medica nell’azienda ospedaliera universitaria di Ancona e presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), che da tre anni promuove "Non fare autogol", iniziativa per la sensibilizzazione degli adolescenti italiani sui principali fattori di rischio oncologico che ha per testimonial i calciatori di tutte e 20 le squadre di Serie A. «Armstrong ci ha messo la faccia, la sua Fondazione ha realizzato e continua a realizzare progetti eccellenti – dice Cascinu -, ma di certo l’uomo e lo sportivo hanno deluso. Noi stiamo facendo progetti con sportivi per dare esempio di vita ai ragazzi. Il testimonial è fondamentale per parlare di prevenzione e malattia ai ragazzi, ed è importante che chi è un esempio capisca il peso del suo ruolo. Armstrong è una delusione per i pazienti che hanno creduto in lui e non è un buon esempio né sportivo, né per l’insegnamento della salute e della prevenzione ai ragazzi».
IL RIMBALZO EUFORICO - Riccardo Torta, direttore dell’unità di psicologia clinica e oncologica dell’ospedale San Giovanni Battista e docente all’Università di Torino, spiega così la "parabola" discendente dell'ormai ex campione texano: «Il grande desiderio di recupero fisico e di competitività può averlo spinto a usare sostanze dopanti. Non è certo attenuante per lo sportivo e per chi ha voluto fare da esempio, ma è una motivazione forte per l’uomo. Voleva tornare, per sé e per il mondo. Per tutti i malati usciti guariti dalle cure c’è un impatto emotivo forte, molti attraversano una fase di "onnipotenza", un rimbalzo emozionale euforico, quella che noi chiamiamo crescita post traumatica. Armstrong si era sentito tradito dal corpo con cui aveva un rapporto più stretto di altri, è normale il culto del proprio fisico da parte di chi fa sport, soprattutto sport duri come il ciclismo. Condanniamo l'atleta, come tutti gli altri che hanno vinto truffando. L’uomo invece ha una scusante in più: era psicologicamente più fragile. Combatteva non solo per vincere, ma per dimostrare a se stesso e agli altri che poteva ancora farcela». Come lui tanti altri, con il rischio di cadere nella trappola del doping. E se Armstrong tirasse fuori un'altra volta la sua forza leggendaria e dicesse «perdonatemi, ho sbagliato»?
Laura Cuppini e Vera Martinella
(ha collaborato Maria Strada)