di Vera Martinella
MILANO - I farmaci biosimilari, che sono già una realtà nella pratica clinica, restano un’incognita per la metà dei malati di cancro. Sei pazienti su dieci non sanno dire se queste molecole (simili, non uguali, all’originale biotecnologico) siano già disponibili in Italia e il 46 per cento ignora i possibili effetti collaterali.
Comunque, in mancanza di informazioni certe, solo il 15 per cento sarebbe disposto a cambiare il farmaco biologico che assume con una «copia» se il medico glielo proponesse. E soltanto l’8 per cento dei malati ritiene il minor costo un motivo valido per sostituire la propria terapia. Sono alcuni dei numeri emersi dal primo sondaggio nazionale sui pazienti promosso dalla Fondazione dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), in collaborazione con la Società italiana di nefrologia (Sin), la Federazione italiana delle associazioni di volontario in oncologia (Favo) e l’Associazione italiana malati di cancro (Aimac), presentato a Roma.
I BIOTECH, ECCO COSA SONO - Dall’indagine (condotta nel giugno 2010, a cui hanno aderito 356 pazienti, 639 oncologi e 211 nefrologi) emerge inoltre che 9 malati su 10 ritengono utile che venga indicato chiaramente sulle confezioni e sulle ricette che si tratta di un farmaco biosimilare e non del prodotto originale. «I pazienti esigono risposte e si stanno documentando – spiega Francesco De Lorenzo, presidente Favo e Aimac –: oggi il 54 per cento sa che non sono copie esatte come i generici, il 60 crede che duplicare un biologico non sia come replicare una molecola chimica e il 40 per cento è consapevole che sono sotto stretta sorveglianza per la sicurezza». Se, infatti, i farmaci generici sono riproduzioni non di marca del tutto equivalenti alla loro versione originale, per i biosimilari la faccenda si fa più complessa: sono copie simili ma non identiche, meno costose ma sicure dei moderni farmaci biotecnologici. Insomma, nel caso dei generici, riprodurre l’«illustre» parente di marca è facile: una volta scaduto il brevetto basta utilizzare lo stesso principio attivo e gli stessi eccipienti. Un medicinale biologico, invece, viene costruito grazie anche a organismi viventi, che creano una parte o l’intera molecola, grazie a tecniche molto sofisticate. E per ottenere un biosimilare occorre replicare esattamente il complesso processo produttivo biotecnologico. Ogni minima variazione rispetto a un protocollo già convalidato, in una qualsiasi delle sue fasi, potrebbe modificare il prodotto finale, rischiando che sia meno efficace o, peggio, che risulti più tossico. Servono, poi, studi pre-clinici e tossicologici a tutela dei malati e test che prima dell’immissione sul mercato confrontino la copia biosimilare con il medicinale biologico originale, per valutarne l’efficacia. Studi che vanno ripetuti per ogni indicazione con cui si vuole utilizzare il farmaco.
UNA POSSIBILE SOLUZIONE «ECONOMICA» - Per quanto recenti (sono stati introdotti nella pratica clinica negli anni Ottanta) anche per i primi farmaci biologici sta scadendo la copertura brevettale, inclusa quella delle prime molecole di target therapy utilizzate in oncologia. Oggi il 50 per cento delle proteine terapeutiche utilizzate per curare diverse malattie sono modificate con le biotecnologie e, in totale, sono circa 250 i farmaci biotech in commercio, il 40 per cento dei quali viene impiegato contro il cancro (come, ad esempio, imatinib, bevacizumab, trastuzumab). Tutti costosissimi: spesso si tratta di terapie da 4-5mila euro al mese per ciascun paziente. Motivo per cui negli ultimi anni hanno inciso parecchio sui bilanci di molti ospedali, obbligando medici, Regioni e Servizio sanitario nazionale a fare i conti con sempre maggior attenzione e obbligando a una rigorosa selezione dei pazienti a cui somministrare questo genere di medicinali. In questo quadro, dunque, le copie biosimilari rappresenterebbero una grande opportunità, soprattutto per il controllo della spesa sanitaria.
SERVONO LINEE GUIDA NAZIONALI - Il sondaggio rientra in un percorso di sensibilizzazione sui biosimilari che va avanti dal 2008 con buoni risultati: è migliorata tra le gli specialisti la conoscenza su cosa siano, quali caratteristiche presentino e quali siano i possibili rischi. Per questo, l’85 per cento degli oncologi è d’accordo con la norma (già approvata in alcuni Paesi europei) che impedisce la sostituibilità automatica, come accade invece per i farmaci generici. «La campagna informativa funziona, ma resta molto da fare se un clinico su cinque ancora non sa darne una definizione o li confonde con gli equivalenti o i generici» dice Francesco Boccardo, presidente della Fondazione Aiom, presente al convegno. Attualmente in Italia l’unico disegno di legge in merito è fermo gli esperti chiedono linee guida nazionali da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), in accordo con le società scientifiche, per scoraggiare il comportamento più disparato delle Regioni. Il 94 per cento degli oncologi e l’85 per cento dei nefrologi, infatti, ritiene sempre più urgente la creazione di un tavolo di lavoro comune sui biosimilari tra Istituzioni sanitarie, associazioni mediche, pazienti, aziende produttrici.
Fonte: Corriere della Sera del 03/09/2010
Farmaci biosimilari, sconosciuti per un malato di cancro su due
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