Anche FAVO, insieme ad UNIAMO e molte altre Associazioni, sottoscrive la lettera aperta al Governo

Dal primo gennaio 2023 è in vigore il nuovo contratto collettivo nazionale per colf, badanti e collaboratori domestici. Un atto che giustamente adegua le retribuzioni, mediamente molto basse, riconosciute a chi assicura assistenza domestica presso milioni di famiglie italiane.

Vengono innalzate le retribuzioni, elevato il costo dei contributi, aumentate le indennità sostitutive di vitto e alloggio. Per restituire l’idea degli aumenti, una famiglia che si avvalga per 30 ore alla settimana di badante o assistente ad una persona non autosufficiente avrà una spesa maggiore di circa 1.300 euro l’anno. Se l’operatore è dipendente a tempo pieno e convivente l’aumento medio annuo sarà di circa 1.600 euro.
Se il collaboratore vanta una certa anzianità di servizio, la spesa aumenta.
Come detto, si tratta di aumenti doverosi, ma che si abbattono esclusivamente sulle famiglie cioè le prime garanti del sistema di welfare. Sono oltre due milioni di nuclei. 
Ne sono colpiti in particolare alcuni profili.

1. le famiglie con persone anziane non autosufficienti che hanno preferito non ricorrere al ricovero in RSA (finora il 58,5% delle famiglie rientra in questa condizione; dati Censis);

2. le famiglie e le persone con severe necessità assistenziali e sanitarie – pensiamo anche alle persone con patologie oncologiche – che hanno fortemente voluto, anche a costo di forte impegno diretto nell’assistenza, che il luogo di vita del congiunto rimanga la sua casa;

3. le persone con disabilità che hanno optato per percorsi di vita indipendente avvalendosi anche di assistenti personali;

4. i caregiver familiari che hanno necessità di essere coadiuvati, per quanto economicamente possibile, da assistenti, colf, operatori.

Ne saranno ancora più colpiti i nuclei che hanno scelto di regolarizzare i contratti anche nella speranza, parzialmente soddisfatta, di poter contare su contributi pubblici che non coprono mai completamente i costi.
L’effetto certo è quello dell’ulteriore impoverimento, sospingendo o mantenendo i nuclei e le persone nella povertà relativa se non assoluta. Questo nuovo sovraccarico economico – non va dimenticato – si aggiunge all’aumento del costo della vita, ad un non proporzionale aumento di pensioni e retribuzioni, ai costi energetici che acclaratamente pesano di più su questo tipo di nuclei. Sarà un sovraccarico insostenibile che costringerà a scelte inevitabili.
Sono infatti prevedibili alcuni preoccupanti effetti:

a. il ricorso ai rapporti di lavoro irregolare (i cui costi comunque fatalmente aumenteranno);

b. il ricorso al ricovero in RSA e in istituto che potrebbe progressivamente diventare più sostenibile economicamente per le famiglie;

c. la rinuncia a percorsi di autonomia personale e vita indipendente intrapresi da persone con disabilità con il ritorno alla famiglia di origine o con il ricorso a strutture protette;

d. la rinuncia ai collaboratori da parte dei caregiver familiari, sobbarcandosi anche quella parte di lavoro con ciò che ne deriva in termini di salute e isolamento.

Troppo spesso si dimentica che le famiglie italiane sono il principale “azionista” del welfare in ambito assistenziale e sulla non autosufficienza.
Per la retribuzione dei lavoratori domestici regolari, le famiglie italiane nel 2020 hanno speso circa 5,8 miliardi, a cui vanno poi aggiunti i contributi (1 miliardo) e i TFR (0,4 miliardi), per un totale di 7,2 miliardi per la sola componente regolare. Considerando anche la spesa per la componente irregolare (quindi solo la loro retribuzione), si ottiene un volume complessivo di 14,9 miliardi spesi dalle famiglie per la gestione dei lavoratori domestici (dati Censis, Istat, Domina). A questa cifra impressionante va aggiunto tutto il lavoro non riconosciuto assicurato da migliaia di caregiver familiari, cioè da persone, in maggioranza donne, che spesso rinunciano al lavoro retribuito e alla carriera per assistere il loro congiunto.
Ancora oggi è risibile il riconoscimento di queste spese. In ambito fiscale sono riconosciute solo la deducibilità dal reddito dei contributi versati, fino a 1.549,36 euro all’anno, e la detraibilità dall’Irpef del 19% delle spese per gli addetti all’assistenza di persone non autosufficienti, fino a 2.100 euro per contribuente, ma solo se il reddito complessivo non supera i 40mila euro. Un quadro che non aiuta certo l’emersione del lavoro nero e la regolarizzazione, una scelta miope non certo impostata sull’equità.
Si aggiunga a questo quadro che i contribuiti riconosciuti dallo Stato (Fondo Non Autosufficienza), già largamente insufficienti, vengono irrimediabilmente erosi dai pur giusti aumenti retributivi, oltre che dall’inflazione e dal costo energetico.
È tempo di passare dalle enunciazioni di principio (vita indipendente, supporto alla non autosufficienza, sostegno ai caregiver familiari) agli interventi concreti immediati e urgenti. Non c’è più tempo di attendere “riforme epocali”. Le richieste urgenti sono allora molto chiare e semplici:

aumento del Fondo per la non autosufficienza e accelerazione delle modalità di accesso ai contributi;

adeguamento dei contributi e semplificazione delle regole per i progetti di vita indipendente e per l’assistenza ai gravissimi;

– erogazione di un bonus straordinario a favore dei nuclei e delle persone che hanno sottoscritto regolari contratti in presenza di una persona non autosufficiente;

revisione tempestiva delle formule di detrazione e deduzione delle spese tali da compensare gli oneri sostenuti e favorire l’emersione del lavoro nero;

– ampliamento dei criteri per l’ingresso di lavoratori stranieri che svolgano attività di lavoro domestico.

Sono tutti interventi che sono necessari e urgenti, e che richiedono un’azione politica tempestiva che non può più essere rimandata sine die in attesa di futuribili riforme complessive pur necessarie quali quelle sulla disabilità e sulla non autosufficienza o la norma quadro sui caregiver familiari. Le famiglie e le persone attendono una risposta!

10 marzo 2023

 

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