di Vera Martinella
Lungo-sopravviventi o «survivors» (sopravvissuti), è così che ci chiamano i medici. Certo, già la parola è un po’ inquietante. Come dire, una garanzia che il cancro non te lo scordi più, se ti va bene “gli scampi”. Ma le cautele, prima di darti la medaglia di guarito, sono tante, tantissime…».
Sorride Francesca, è tranquilla: oggi, trascorsi 15 anni dal suo tumore al seno, ha 51 anni e una vita normale. «In realtà, io non mi sento una sopravvivente. Le mie giornate scorrono come prima della malattia: lavoro, viaggio, seguo mia figlia e mio marito. Penso di avere gli stessi problemi della maggioranza delle italiane della mia età, anche se l’incontro con il cancro è stato sicuramente un’esperienza molto complessa e dura. Alcune cose sono però anche cambiate in meglio»
SALE IL NUMERO DI GUARIGIONI – Dopo un tumore si può riacquistare la salute, tornare alla vita normale e a riacquisire un’aspettativa di vita esattamente identica a quella delle persone che non hanno mai dovuto fare i conti con il cancro. Grazie a miglioramenti diagnostici e terapeutici, in Europa crescono i casi di pazienti oncologici che giungono a una ripresa completa. Il numero di persone guarite aumenta di circa l’uno per cento ogni anno. È quanto emerge da uno studio pubblicato sull’European Journal of Cancer che per la prima volta prende in esame non solo la sopravvivenza a cinque anni (che non indica l’effettiva guarigione), ma i dati sulle persone realmente guarite dal tumore. Condotto dal gruppo di lavoro Eurocare-4, lo studio ha analizzato i dati di 93 registri tumori in 23 paesi europei, per un campione di circa 13,5 milioni di pazienti con una diagnosi di cancro avuta nel periodo 1978-2002, che rappresentano tutti i casi diagnosticati in una popolazione complessiva di 151.400 mila cittadini europei (pari al 35 per cento della popolazione totale di questi paesi). Gli esperti hanno considerato i dati nei bienni 1988-1990 e 1997-1999 e trovato che la proporzione di pazienti ristabilita da tumore ai polmoni, allo stomaco e al colon-retto è passata rispettivamente dal 6 all’8 per cento, dal 15 al 18 e dal 42 al 49 per cento. «Si vede un’evoluzione positiva, anche se lenta - afferma Riccardo Capocaccia, direttore del Reparto di epidemiologia dei tumori dell’Istituto superiore di sanità che ha coordinato i lavori con l’Istituto tumori di Milano - e anche le proiezioni per il futuro indicano che questo trend continuerà».
GLI ANZIANI SOPRAVVIVONO MENO, LE DONNE PIÙ DEGLI UOMINI - Dai dati della ricerca emerge che l’Italia è tra i paesi europei con il migliore tasso di guarigioni e sopravvivenza. Considerando i principali tumori, per esempio, si vede che per quello ai polmoni la guarigione è minima in Danimarca, Polonia e Repubblica Ceca (meno del 5 per cento), massima in Francia e Spagna (oltre il 10 per cento) e in Italia è del 7 per cento. Per il colon-retto è minima (30 per cento) in Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, massima (49 per cento) in Francia e in Italia è del 43,1 per cento. In Finlandia, Francia, Spagna e Svezia, circa il 73 per cento dei casi di cancro al seno guarisce e la percentuale italiana è del 69,9. «L’ampia variabilità tra i vari Paesi riflette differenti progressi diagnostici, terapeutici e di prevenzione», spiega Capocaccia. I pazienti di 70-99 anni hanno però una sopravvivenza minore di quelli della fascia 55-69 anni perché, prosegue l’esperto «probabilmente arrivano alla diagnosi ad uno stato più avanzato di malattia, per presenza di altre patologie e per la minore applicabilità delle terapie più efficaci, spesso dovuta al loro stato generale di salute già in parte compromesso». A parità di neoplasia, poi, le donne si salvano più degli uomini: la sopravvivenza a cinque anni per lei è generalmente il 2 per cento più alta (52 contro 50 per cento dei maschi). E si sale fino al 4 per cento in più nelle donne under-64. Buone le statistiche per bambini e adolescenti: la sopravvivenza complessiva a 5 anni è dell’81 per cento tra 0 e 14 anni e cresce all’87 per cento fra i 15 e i 24 anni.
CONTROLLI, STRESS, ANSIA, «COME UNA SPADA DI DAMOCLE» - Non tutti gli ex-malati, purtroppo, hanno superato la malattia con la stessa tranquillità di Francesca. Tutta un’altra storia quella di Lorenzo, operato sette anni fa di un carcinoma al colon: «Dopo l’intervento la mia vita è completamente cambiata, avevo solo 35 anni, è stato terribile. Mi sentivo diverso, non mi accettavo più. Ho lasciato la mia fidanzata nonostante fosse molto innamorata di me e mi fosse stata vicina. Mi sono chiuso in me stesso, ho cambiato città e lavoro. Non ho mai raccontato a nessuno ciò che mi era successo. Probabilmente se avessi intrapreso una terapia psicologica sarei riuscito a superare il trauma… mi accorgo che poterne parlare è veramente una liberazione». Gli studi sui survivors non sono molti, perché la loro stessa «lungo-sopravvivenza» è cosa recente. Di certo, però, sono una realtà che s’impone all’attenzione dei medici e degli psicologi. Perché questi ex-malati hanno necessità peculiari, che non possono essere ignorate né sottovalutate se si vuole garantire loro un effettivo reinserimento sul lavoro, in famiglia, nella coppia e nella società. «Definiamolo genericamente stress anche se ha più sfaccettature – spiega Luciana Murru, psicologa all’Istituto tumori di Milano che da tempo s’interessa del problema -. C’è, innanzi tutto, la paura che il tumore ritorni. Un’ansia legata ai controlli, dura a scomparire. Molti malati oncologici vivono come se sulla loro testa pendesse costantemente “una spada di Damocle”». Diversi studi hanno indagato su questo vissuto ed effettivamente le percentuali sono abbastanza alte: ne soffre, ad esempio, tra il 42 e l’89 per cento delle donne operate al seno e tra il 39 e il 76 dei pazienti sottoposti a trapianto di midollo per una neoplasia del sangue.
UNA MALATTIA CHE TI CAMBIA LA VITA – Dirlo può sembrare un po’ scontato, ma percepirlo sulla propria pelle è tutta un’altra cosa: «Il tumore – prosegue la psiconcologa – è una malattia che ti cambia la vita, perché si comprende davvero il senso del limite. Ci si scontra d’improvviso con il fatto che siamo mortali. Per questo è fondamentale da subito aiutare i malati a gestire lo shock della diagnosi e lo stress successivo delle cure. Pazienti e familiari, poi, vanno sostenuti nell’affrontare l’ansia, la paura, la depressione, l’impatto emotivo e spirituale e tutti i cambiamenti che interverrano nella loro vita da quel momento in poi». E, ascoltando le storie dei sopravvissuti, si capisce che i cambiamenti sono davvero tanti. Alvise, per esempio, è guarito da un linfoma di Hodgkin. Ora ha 68 anni e un figlio quindicenne, avuto dalla compagna che ha scelto dopo l’esperienza-tumore. Ne aveva 45 quando nel 1986 gli è stata diagnosticata la malattia ed era sposato. Con la moglie ha affrontato la diagnosi e l’iter terapeutico. Lo avevano giudicato un caso senza speranza, ma lui ha chiesto altri consulti e si è fatto curare. Ha avuto una ricaduta nel 2000 e una nel 2003. Ora è guarito e fa solo una terapia di mantenimento mensile. «Alvise ha dovuto trovare in se stesso la forza per reagire alla malattia, l’ha cercata nei familiari e nelle persone vicine, ma nel suo percorso riabilitativo ha divorziato dalla moglie dalla quale non si sentiva abbastanza sostenuto» dice Marilena Bongiovanni, presidente dell’Associazione nazionale guariti o lungoviventi oncologici (Angolo), fra i membri fondatori insieme ad Alvise.
TORNARE A VIVERE: SERVE AIUTO - Spesso il lungo-vivente convive con disturbi collegati alle terapie sostenute o conseguenti alla patologia oncologica stessa: in particolare molti soffrono di astenia cronica, fatigue, depressione. E quasi tutti lamentano il senso di disinteresse, persino di abbandono da parte degli oncologi, dopo il superamento della fase acuta della malattia. «Invece – spiega Bongiovanni, ex malata come molti soci di Angolo - il concetto di riabilitazione, importantissimo per i survivors, in realtà è fondamentale per tutti, fin dalla diagnosi. Il sostegno psicologico, le corrette indicazioni durante le terapie sotto il profilo alimentare, comportamentale e sessuale, il sentirsi accuditi servono per generare nel malato e nei suoi cari il corretto atteggiamento nell’affrontare tutto il percorso». C’è chi deve superare le cicatrici dell’operazione e magari va indirizzato verso un intervento di chirurgia estetica o plastica. Chi, come gli stomizzati dopo un carcinoma colonrettale, si ritrova a convivere con un corpo diverso. Numerose donne soffrono di linfedema al braccio dopo l’intervento al seno e molte coppie hanno problemi di fertilità o di sessualità. Parecchi ex-pazienti, poi, hanno bisogno di aiuto legale e nel reinserimento al lavoro.
LA COPPIA E IL SESSO - Recuperare la serenità, anche nella coppia, è un passo decisivo per tornare a vivere. Soprattutto certi tumori (specie se interessano seno, prostata, utero) lasciano però un segno, sia fisico che psicologico. «Dal giorno dell’intervento non sono più riuscita a spogliarmi davanti a mio marito. L’intesa sessuale con lui ne ha risentito tantissimo. E ho sempre l’impressione che lo sguardo della gente si indirizzi sul mio seno» confessa la milanese Carla, a cui fa eco una giovane donna toscana: «Io dopo l’intervento ho lasciato il mio ragazzo, il mio corpo non mi piaceva più. Quando ho visto la ferita per la prima volta ho pianto per tre giorni. Mi sono completamente chiusa in me stessa e ho iniziato a pregare». Anche per gli uomini non è semplice, come spiega Franco: «Dopo la prostatectomia per quasi due anni non ho più avuto rapporti sessuali con mia moglie e tutta la nostra relazione si è impoverita. Ero in crisi, con me stesso prima che con lei. Poi, piano piano e con tanta fatica, mi sono lasciato aiutare dall’urologo e dai farmaci, ho permesso che lei si avvicinasse. Oggi va molto meglio». Alla quasi trentenne Lorena, invece, dopo il ricovero e il primo ciclo di terapie, il fidanzato ha detto che non se la sentiva di condividere la sua vita con lei: «Dopo la comunicazione della diagnosi è stato l’altro grande shock della mia vita. Ma con il sostegno di uno psicologo ho analizzato, capito e persino accettato. Non è stato facile neppure per lui, stavamo insieme da poco più di un anno e io forse non potrò avere figli».
AD AVIANO LA PRIMA CLINICA PER I GUARITI – Per i medici, però, molti di questi problemi sono «secondari». Prima vengono il tumore e le terapie. Bisogna salvarsi la pelle. E chi ce la fa è già fortunato. Certo, ora che le guarigioni aumentano, cresce anche il numero di quelli che vorrebbero e dovrebbero poter godere di una buona qualità di vita futura. «In Italia ci sono non meno di 1,5 milioni di persone con una storia di cancro alle spalle e circa 800mila rientrano a pieno titolo nella categoria dei cosiddetti lungo-sopravviventi – spiega Umberto Tirelli, direttore del Dipartimento di oncologia al Centro di riferimento oncologico di Aviano (Pn) e responsabile della prima clinica in Italia rivolta ai pazienti oncologici guariti -. Molti soffrono di disturbi legati agli effetti collaterali dell’intervento o di chemio e radioterapia. Tanti sono anziani e magari hanno patologie concomitanti, per lo più cardiovascolari. Altri devono affrontare squilibri ormonali, problemi della sessualità o della fertilità. Su tutti, poi, bisogna studiare la possibilità di eventuali secondi tumori indotti dalle radiazioni. E impostare – come per tutti - gli screening per altre forme di cancro e la loro tempistica». Per questo Tirelli ha sostenuto (con il finanziamento del Ministero della salute e in collaborazione con Aimac , Favo , Angolo e altri Istituti Tumori) l’iniziativa di una clinica dedicata ai bisogni specifici dei survivors. I pazienti italiani che sono invitati a utilizzarla sono quelli che hanno avuto una delle seguenti patologie oncologiche: tumori della mammella, gastro-intestinali, ginecologici, genito-urinari e linfomi, e che sono stati trattati in qualsiasi centro italiano. Basta che abbiano almeno cinque anni di storia di assenza di malattia, senza trattamenti oncologici in atto. Chiunque fosse interessato a prendere un appuntamento può telefonare allo 0434-659036. Le visite vengono erogate attraverso il sistema sanitario nazionale.
«Ricomincio a vivere», dopo il cancro
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