La prima donna in Italia che ha adottato un bimbo dopo il tumore al seno si racconta. Un iter lungo, difficile, tortuoso, ma non impossibile.
Fonte: Sportello Cancro, 06/07/2011
MILANO - Vittoria ha avuto un tumore del seno a 26 anni. Una volta guarita, ha scelto con suo marito Riccardo di adottare un figlio e nel dicembre 2004 è finalmente arrivata Andrea. La sua esperienza ha rappresentato una vera novità: in Italia adottare un bambino dopo aver superato un tumore appare ancora un iter lungo, difficile, tortuoso. Vittoria ha deciso di raccontare la sua esperienza per lanciare soprattutto un messaggio di speranza a tutte le donne guarite, che vorrebbero diventare mamme, ma sono spaventate o vengono scoraggiate da una burocrazia spesso «insensibile». Ha però preferito restare anonima: «Sarò io a spiegare ad Andrea la sua storia quando sarà il momento», dice tenendo in mano la copia del libro (Ho vinto io, a cura di Boldrini, Smerrieri e Goffi, promosso dalla Fondazione Aiom Giunti editore) in cui racconta le sue vicissitudini insieme a molte altre donne che hanno saputo trovare risorse e forza per ripartire dopo la malattia. E che hanno voluto denunciare, attraverso le loro esperienze, difficoltà e bisogni disattesi nel reinserimento lavorativo e sociale. È sufficiente un veloce giro sui siti internet dedicati alle adozioni o alla fertilità di coppia o basta leggere i molti messaggi che arrivano nei forum di Sportello Cancro: «Ora che ho sto bene, vorrei avere un figlio» è una frase ricorrente, le storie sono tantissime. Il principio però è sempre lo stesso: il legittimo desiderio di tornare, continuare, a vivere dopo la «burrasca».
CRESCE IL NUMERO DELLE MAMME POST-CANCRO - Ad oggi sono 400mila le donne italiane guarite dal cancro al seno e se fino a 10 anni fa il massimo obiettivo era sopravvivere, ora si guarda oltre. Capita così che una su quattro (il 25 per cento) lasci il marito o compagno che nella maggioranza dei casi si è dimostrato inadeguato a questa prova. Se poi il 40 per cento ricomincia a lavorare a due mesi dalla diagnosi, cinquecento donne (il 5 per cento, circa, ma i dati disponibili attualmente sono pochi) hanno avuto figli dopo il tumore. «E si tratta di un numero destinato ad aumentare per vari motivi - spiega Carmelo Iacono, presidente nazionale dell’Associazione italiana di oncologia medica -. Perchè non sembrano esistere controindicazioni alla gravidanza dopo il cancro e molte pazienti si ammalano quando sono ancora in età fertile. E perché il carcinoma mammario è sempre più diffuso nel mondo, ma la sua mortalità è in costante diminuzione: in Italia, negli ultimi cinque anni è scesa dell’11,2 per cento nelle donne al di sotto dei 49 anni».
«IL PIÙ’ FANTASTICO DEI TRIONFI» - «Riuscire ad adottare Andrea è il più fantastico dei trionfi: ho vinto il cancro e sono riuscita a realizzare il mio desiderio più grande, essere mamma» sottolinea Vittoria. Forse non è l’unica, ma nessun’altra mamma ha per ora reso pubblico un evento analogo. «I medici con me sono stati chiari: avere un figlio dopo il tumore non è impossibile, ma bisogna lasciar passare almeno cinque anni dall’intervento chirurgico, per precauzione. E sapere che può anche andarti male.. Io ci ho sempre creduto e dopo l’operazione ho iniziato a contare i giorni che mi separavano dal “traguardo”». Vittoria era giovane e il suo fisico resistente aveva reagito bene alle cure oncologiche, quando si sentivano finalmente pronti la sorte sembrava essere dalla parte sua e di Riccardo: dopo un solo mese di “tentativi” lei rimane incinta. «Invece il peggio doveva ancora arrivare: improvvisamente il cancro è tornato, più aggressivo. Non mi ha dato scelta e i medici non mi hanno lasciato nessuno spiraglio: era impossibile portare a termine la gravidanza. Se mi fossi sacrificata, rinunciando alle terapie, sarebbe stato un tentativo inutile. Per me e per lui». Poi, dopo un lungo calvario per le cure, il tumore scompare per non ripresentarsi mai più. «Ma questa volta si era portato via una parte di me – continua Vittoria -. Senza un aiuto psicologico non ce l’avrei mai fatta. E poi c’era Riccardo: ha saputo starmi vicino, prendermi per mano, consolarmi. Come tutte le grandi prove, se non ti annientano ti rendono più forte. Così è successo a noi». Poi la vita prende il sopravvento e Vittoria, che prima si consideravo guarita, ora si sentiva una malata cronica. «Una condizione che ti porta necessariamente a riconsiderare alcune scelte fondamentali, ma non a rinunciare ai desideri più grandi», spiega. In linea teorica avrebbe potuto rimanere incinta di nuovo, ma i medici lo sconsigliavano e il rischio per la sua salute era elevatissimo. Così ha deciso che l’adozione avrebbe potuto essere la strada giusta. E tuo marito? «Piano piano, dopo notti di discussioni, dubbi, confronti, anche lui ha maturato il mio stesso desiderio. E così, ancora una volta mano nella mano abbiamo iniziato questa nuova avventura».
«UNA GRAVIDANZA BUROCRATICA» - La “gestazione” è durata quasi tre anni (il limite massimo, dopo il quale bisogna ricominciare l’iter di richiesta per l’adozione ex novo). Accade purtroppo, ma questo caso è stato particolarmente “travagliato” perché Vittoria e Riccardo non hanno mai nascosto la malattia. Il che, ovviamente, ha fatto in modo che le richieste e gli accertamenti per l’idoneità si moltiplicassero. «Nei tribunali le domande di adozione per chi si è lasciato alle spalle una patologia grave si scontrano con molti pregiudizi - commenta Elisabetta Iannelli, avvocato specializzato e vicepresidente dell’Associazione italiana malati di cancro (Aimac) -. “Ripassi fra cinque anni” è una frase molto comune, peccato che si possa avere un bimbo con meno di 12 mesi solo se i genitori hanno al massimo 45 anni: molte persone quei cinque anni non li hanno». La legge, è ovvio, tutela i minori e prevede che la salute dei genitori non pregiudichi il diritto del bambino ad avere genitori sani, che gli possano stare accanto il più a lungo possibile. Poi tutto sta nella valutazione del singolo caso. «Così come si calcolano le condizioni economiche e sociali della coppia, sono previste per tutti certificati sanitari e visite psicologiche e psichiatriche – precisa Iannelli -. Tutto viene rivisto dal medico legale del tribunale. La domanda a cui bisogna rispondere per un’adozione però è una soltanto: è ragionevole affidare un bimbo a queste due persone?». Se uno dei due coniugi è un ex-malato troppo spesso le richieste sconfinano nell’inutile e nell’accanimento. Ma Vittoria e Riccardo ce l’hanno fatta: «È stata durissima: umiliazioni, discriminazioni. Nei confronti di chi è stato malato di tumore resta ancora purtroppo, da parte di molti, un pregiudizio di fondo. Ma noi ci siamo presi Andrea e una bella rivincita: un ottimo assistente sociale e una psicologa davvero eccezionale, nella loro valutazione, ci hanno dato “la lode”. Hanno spiegato che il nostro percorso così accidentato ci ha portati ad affrontare la sofferenza con equilibrio e che abbiamo sviluppato una sensibilità e un entusiasmo verso la vita che chi è in buona salute non possiede, perché li dà per scontati».
LA PAROLA AI MEDICI – Secondo recenti statistiche, circa il 15-20 per cento delle donne con diagnosi di tumore al seno è ancora in età riproduttiva e l’ipotesi di una futura gravidanza è un parametro da valutare attentamente nella scelta del trattamento. «Il carcinoma mammario – dice Pierfranco Conte, responsabile del Dipartimento di oncologia dell’Università di Modena. - può risentire dei livelli di estrogeni e il ricorso a terapie ormonali richiede delle precauzioni. Alcuni farmaci per la chemioterapia possono indurre una menopausa precoce, cosa che accade in poco più di metà delle donne. Nelle under 35enni è un’eventualità però molto bassa e in genere dopo un anno si ha una ripresa della funzione ovarica». Alcuni studi, poi, mostrano che una gravidanza a due anni dalla fine della terapia può avere addirittura un effetto protettivo, mentre non sono stati riscontrati effetti avversi e anomalie nei feti. Più alto, invece, è il pericolo di aborti spontanei, che nelle ex-malate aumento del 25 per cento. E anche nel caso si scopra la neoplasia quando la gravidanza è già iniziata? Accade in un caso ogni 3000 gestazioni e le speranze di portarla a termine non mancano. «Troncare la gravidanza - conclude Alessandra Fabi, oncologa del Regina Elena di Roma - è un’opzione da non considerare a meno che il tumore non sia già in fase avanzata. Nel secondo-terzo trimestre della gestazione l’intervento chirurgico è senz’altro un’alternativa. Anche la chemio è un’opzione efficace, ma va evitata nei primi tre mesi, insieme a terapie ormonali e radioterapia».
TERAPIE ANTICANCRO IN DIFESA DELLA FERTILITÀ – Nel caso di una diagnosi di cancro, per maschi e femmine, oggi sono molte le attenzioni che chirurghi, oncologi e radioterapisti possono adottare per non compromettere la futura possibilità dei malati di avere figli. Ci sono tecniche operatorie che risparmiano gli organi riproduttivi e trattamenti chemio e radio che possono essere scelti a seconda del tipo di neoplasia, certo, ma anche dell’età e dei desideri del paziente. «Nel nostro Paese 1.500 donne sotto i 40 anni vengono colpite ogni anno da un carcinoma alla mammella, il 4 per cento di tutti i casi, e il 33 per cento di loro non ha avuto figli» precisa la coordinatrice di una nuova ricerca salva-fertilità, Lucia Del Mastro, dell’Istituto tumori di Genova. I chemioterapici compromettono la possibilità di avere una gravidanza nel 70 per cento dei casi perché riducendo il numero di follicoli nelle ovaie, provocano una menopausa precoce. Finora l’unica soluzione per diventare madri era congelare gli ovuli prima dell’inizio della terapia per poi procedere, a guarigione avvenuta, alla fecondazione in vitro. Ma la nuova ricerca, giunta alla fase più avanzata della sperimentazione, dimostra ora che è possibile ridurre la menopausa precoce dal 50 al 30 per cento grazie a un farmaco, la triptorelina, che mette a riposo le ovaie prima di iniziare il trattamento, risparmiando loro gli effetti tossici della cura.
Vera Martinella