Intervista di Elisabetta Iannelli, Segretario Generale FAVO, a Quotidiano Sanità sulla partecipazione di FAVO al Vertice delle Nazioni Unite contro le Malattie Non Trasmissibili: cancro, diabete, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche.
Sarà la Favo (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) l’unica organizzazione di volontariato a rappresentare l’Italia e l’Europa al vertice delle Nazioni Unite in programma il 19 e 20 settembre a New York sulla prevenzione e sul controllo delle malattie non trasmissibili, causa del 63% delle morti nel mondo. Intervista a Elisabetta Iannelli, segretario generale Favo.
15 SET - C’è grande attesa per il vertice delle Nazioni Unite in programma il 19 e 20 settembre a New York incentrato sulla prevenzione e sul controllo delle malattie non trasmissibili: cancro, diabete, malattie cardiovascolari, mallattie respiratorie croniche che causano il 63% delle morti in tutto il mondo. In primo luogo perché questo rappresenta un forum di primaria importanza per discutere dell’impatto socio-economico di queste patologie, motivo per cui è prevista la partecipazione di Capi di Stato o di Governo con l’obiettivo di sviluppare strategie per risolvere i problemi legati alla loro forte crescita. In secondo luogo perché, nella storia dell’Onu, questa è soltanto la seconda volta che viene convocata una conferenza a così alto livello su tematiche sanitarie dopo quella del 2001 sull’Aids.
Il Summit, infatti, sarà la piattaforma da cui partirà la nuova strategia di politica sanitaria mondiale. A rappresentare l’Italia, oltre alla delegazione del Governo, ci saranno anche Francesco de Lorenzo ed Elisabetta Iannelli, presidente e segretario della Favo, la Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia.
Dottoressa Iannelli, il summit dell’Onu è un evento di grande importanza a livello mondiale ma anche un grande riconoscimento per la Favo. Perché siete stati scelti per rappresentare i pazienti italiani?
Indubbiamente. Siamo l’unica ong a rappresentare l’Italia ma anche l’Europa, dal momento che il presidente della Favo, Francesco De Lorenzo, è anche il vicepresidente della European Cancer Patient Coalition, quindi porterà a New York la voce dei pazienti di tutta Europa.
La scelta è caduta sulla Favo attraverso due strade parallele che si sono incrociate. Circa 6 mesi fa, infatti, io sono stata contattata dall’American Cancer Society per essere uno degli 80 “ambasciatori della società civile” provenienti da tutto il mondo che avrebbero rappresentato i malati oncologici al Summit.
Allo stesso tempo, in Italia, la Favo stava affiancando la presidenza del Consiglio dei Ministri, il ministero della Salute e il ministero degli Esteri per mettere a punto le osservazioni italiane in vista dell’elaborazione di un documento finale che sarà approvato in occasione del vertice dell’Onu.
Siamo stati quindi indicati come rappresentanti delle organizzazioni di volontariato sia dall’American Cancer Society che dal Governo italiano. Ed in entrambi i casi rappresentiamo un obiettivo, quello di sensibilizzare le istituzioni, a livello globale e poi di singoli paesi, a prendere un impegno forte per migliorare la prevenzione, l’accesso ai farmaci, evitare discriminazioni per l’accesso alle diagnosi, cure, prestazioni riabilitative, terapie del dolore e tutti quegli aspetti essenziali per l’assistenza di un malato.
Con grande soddisfazione è stata accolta la proposta dell’Italia di inserire nella bozza di questo documento finale il riconoscimento formale e il dovuto rilievo al contributo delle associazioni di volontariato nella lotta e controllo di queste malattie.
Ci aspettiamo che dal vertice dell’Onu nasca un impegno forte e compatto per realizzare questi obiettivi. Questo peraltro, come spiegava anche il rappresentante italiano presso l’Onu, è un evento promosso secondo i massimi livelli di importanza previsti dall’Onu. Infatti all’Assemblea generale sono stati invitati i capi di Stato e di Governo del mondo. In questi casi, i documenti finali che vengono approvati non rappresentano solo l’impegno forte di un alto organismo ma includo anche un’assunzione di responsabilità da parte dei Paesi presenti.
In questo periodo di crisi economica globale gli impegni rischiano però di essere vanificati dalla mancanza di risorse e finanziamenti, come in parte accaduto con l’Aids…
Già. Indubbiamente quando vi sono poche risorse l’aspetto etico deve fare i conti con quello economico. Quello che però auspichiamo è un salto culturale nei confronti del problema. La definitiva consapevolezza che investire in prevenzione primaria, come la lotta al tabacco e all’obesità, significa anche risparmiare, perché significa avere meno malati.
Discorso analogo si può fare per l’accesso alle terapie molto costose, perché permettono a una persona malata di rimanere attiva e produttiva per il Paese.
Uno dei problemi cruciali da affrontare sarà senz’altro quello del costo dei farmaci, sul quale speriamo di trovare soluzioni positive, non dico nell’immediato, ma in futuro sarà sicuramente possibile rendere questi farmaci accessibili a un numero sempre maggiore di persone in ogni parte del mondo.
Quali altre difficoltà potrebbero emergere nel corso del summit?
Il fatto è che, volendo affrontare questione a livello globale, ci troveremo di fronte a due tipologie di paesi con diverse problematiche.
Da una parte ci sono i Paesi in via di sviluppo, dove la situazione è più critica e occorre intervenire sulla prevenzione e la fase acuta della malattia. Questi Paesi rappresentano il maggior peso nei programmi globali ma sono anche quelli che subiscono il maggior danno economico derivante dalle conseguenze di queste malattie. Su 9 milioni di persone che ogni anno muoiono prima dei 60 anni, il 90% si trova nei Paesi in via di sviluppo.
Poi ci sono i Paesi più sviluppati, come l’Italia, dove le politiche di prevenzione e screening sono già a buon punto, così come possiamo contare su centri di eccellenza e assistenza di alto livello. In questi Paesi il problema, dunque, si sposta nell’assistenza alla cronicizzazione delle malattie.
L’Italia che contributo può portare al vertice?
L’Italia può avere un ruolo certamente trainante, addirittura leader in queste trattative.
Nonostante il nostro Paese si sia già praticamente tirato fuori dalla lotta all’Aids, accumulando ritardi nel versamento della propria quota al Global Fund?
È vero. Ma il contributo che intendevo non è tanto quello economico quanto culturale. Il sistema di assistenza italiano, pubblico e universale, è il modello al quale ispirare le strategie di sanità pubblica. Un modello che non esiste in molti Paesi, a partire dagli Usa, e il cui valore ci viene riconosciuto e anche invidiato.
Ci aspettiamo risultati importanti dal Summit di New York. Ovviamente si tratta di uno primo passo, a cui dovranno seguire azioni, lobbing e monitoraggi per far sì che i princìpi che saranno scritti nel documento finale vengano attuati nel modo migliore.
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