L'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) lo ribadisce da tempo e lo ha sottolineato di nuovo a Bologna durante il recente convegno nazionale: la situazione dei conti nei reparti è esplosiva, i malati sono in aumento e i tagli alla spesa sanitaria non lasciano ben sperare. Non mancano poi gli sprechi, con prestazioni talvolta inappropriate, esami ripetuti e spesso poco utili, a cui si aggiungono le migrazioni sanitarie con pazienti che si spostano fra regioni o fra ospedali che distano pochi chilometri. "Ogni volta che una persona si trasferisce da un centro all'altro la presa in carico ricomincia dall'inizio, dalla lettura dei vetrini in giù - sottolinea Srefano Cascinu, presidente Aiom - e questo comporta un allungamento dei tempi e fa aumentare le spese".
"Di fronte ai continui tagli all'assistenza sanitaria e all'aumento sia dei pazienti oncologici sia dei costi di prestazioni diagnostiche, chirurgiche e medicinali -dice Carmelo Iacono, Presidente della Fondazione Aiom e primario di oncologia a Ragusa - servono soluzioni per garantire ai malati le migliori cure possibili". Aiom ha così elaborato una sua "ricetta" da proporre alle Istituzioni. "I piccoli ospedali vanno messi in rete con quelli più attrezzati - spiega Cascinu - in modo che vi sia una circolazione delle esperienze. All'interno del singolo centro, poi, va attivato un continuo dialogo fra specialisti (oncologo, patologo, radioterapista, chirurgo e tutte le altre figure coinvolte) per una presa in carico complessiva del malato. A livello regionale, bisogna creare percorsi di confronto fra strutture. L'obiettivo è valorizzare le eccellenze che oggi esistono, ma che sono sparse a macchia di leopardo sul territorio, così da farle lavorare in maniera davvero integrata".
Secondo gli esperti, però, le "Reti oncologiche" formalmente istituite esistono solo sulla carta e funzionano in pochi casi, mentre sono fondamentali per coordinare al meglio il lavoro dei numerosissimi reparti e day hospital di oncologia presenti sull'intero territorio. Allora, come dovrebbe funzionare, nel concreto, una Rete ottimale? "Ogni ospedale deve essere in grado di garantire uno standard assistenziale adeguato per la gestione del 90 per cento dei casi, cioè deve essere in grado di assicurare l'ordinarietà - spiega Iacono -. Solo quel 10 per cento di casi che presenta una particolare complessità va rimandato all'ospedale di riferimento regionale per la patologia (per esempio, per il tumore della mammella, dello stomaco, e così via): così non si "ingolfa" il sistema e si possono offrire a tutti i malati le cure migliori".
Ripensare e rendere operative le Reti oncologiche regionali contribuirebbe anche ad evitare le "migrazioni" dei malati, riducendo fra l'altro il costo di visite ed esami che altrimenti si vengono a duplicare.
"Il malato deve restare fermo al centro ed è il sistema che deve ruotare intorno a lui, in cerchi concentrici - conclude Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo) -. E una rete funzionante è fondamentale anche nel follow up, per il supporto psicologico, la rialibitazione e per tutte le necessità di quei quasi due milioni e 250 mila italiani (circa il 4 per cento della popolazione) che vivono oggi dopo aver ricevuto una diagnosi di cancro".
di V.M.
Fonte: Il Corriere della Sera dell'08/01/2012