Per la Federazione delle associazioni di pazienti oncologici “la tutela utile ai cittadini non è ravvisabile nella regolamentazione del trattamento dei dati, bensì nella repressione dell'abuso dei dati” che, tuttavia, “difficilmente potrebbe venire dal mondo scientifico”.
17 FEB - La Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo) è intervenuta sullo schema di autorizzazione generale per disciplinare il trattamento dei dati nell'ambito dei cosiddetti "studi osservazionali retrospettivi", per sottoporre al Garante per la protezione dei dati personali alcune osservazioni scaturite dall'esperienza dei malati e dal confronto delle loro problematiche con giuristi ed associazioni scientifiche.
Ecco le osservazioni della Favo, elaborate dal presidente Francesco De Lorenzo e dall’esperto giuridico Roberto de Miro.
In primo luogo, le associazioni di volontariato esprimono apprezzamento ed interesse nell’iniziativa di consultazione e si dichiarano a disposizione per ogni discussione e confronto.
Il punto di vista dei pazienti è favorevole alla direzione intrapresa con le autorizzazioni generali, dapprima in riferimento ai soli dati genetici ed ora con l’autorizzazione per studi osservazionali retrospettivi, in cui si afferma il principio che non sia necessario il consenso preceduto da informativa sul trattamento dei dati personali per l'utilizzo dei dati stessi in tutti i casi in cui non sia ragionevolmente possibile richiederlo all'interessato.
Desideriamo ribadire che nella prassi come nella regolamentazione, è necessario distinguere più nettamente il tipo di consenso o negozio giuridico con cui si autorizza, da parte del paziente, l'apprensione, conservazione, osservazione e trattamento di materiale biologico e la diversa autorizzazione relativa ai dati personali ad esso connessi.
Si segnalano alcune problematicità: l'interesse primario dei pazienti oncologici e loro familiari, non difforme da quello dei cittadini, non è la limitazione, sulla base di un consenso iniziale, delle ricerche effettuabili su campioni biologici o sui dati da essi ricavabili o comunque riguardanti i pazienti stessi, bensì al contrario la promozione della ricerca scientifica, dalla quale dipendono speranze di vita e di cura. La vigilanza dei comitati etici dovrebbe essere sufficiente a prevenire abusi e sfruttamenti illeciti dei dati e dei materiali biologici.
Poiché i pazienti hanno interesse primario alla possibilità di ritorno diretto all'interessato di informazioni utili alla cura, terapia o prevenzione, desumibili dai campioni prelevati o dai dati clinici, biometrici, genetici da essi ricavabili, la prescrizione, secondo la bozza di autorizzazione generale in discussione, di distruzione od anonimizzazione dei campioni biologici e dei dati al termine di una specifica ricerca autorizzata non è conforme all'interesse dei pazienti, dei loro familiari e della cittadinanza. Al contrario, la donazione di campioni biologici e la messa a disposizione di dati clinici sarebbe incentivata dalla possibilità di conservazione a tempo indeterminato, anche successivamente ad una specifica ricerca autorizzata.
In generale, la tutela utile ai cittadini non è ravvisabile nella regolamentazione del trattamento dei dati, bensì nella repressione dell'abuso di dati. Tale abuso che potrebbe dare luogo a gravi discriminazioni da parte, ad esempio, di datori di lavoro o assicurazioni, difficilmente potrebbe venire dal mondo scientifico, che ha per scopo il progresso delle conoscenze ed il miglioramento della cura. I cittadini, viceversa, hanno interesse che i dati non possano essere utilizzati da enti con fini di lucro senza il preventivo consenso dell'interessato, e che ogni trattamento in mancanza di espresso consenso sia sottoposto alla vigilanza di comitati etici indipendenti, proprio al fine di prevenire abusi. I CEI formati da persone qualificate, sono certamente in grado di valutare meglio del semplice cittadino la liceità ed eticità di una specifica ricerca, una volta che il cittadino abbia espresso un consenso generico all'utilizzo di dati clinici e genetici e materiale biologico per il miglioramento delle cure (nel rispetto della possibilità di negare o limitare ab initio tale consenso).
La richiesta di ulteriori consensi specifici avrebbe solo l'effetto di allontanare la ricerca avanzata dal nostro paese e rendere inutili le preziose raccolte esistenti, senza alcun vantaggio né tutela per gli interessati. Questi principi sono stati espressi dagli esperti di FAVO insieme a rappresentanti di società scientifiche, IRCCS oncologici e loro Comitati etici in relazione al trattamento dei dati personali, biometrici, sanitari e genetici dei cittadini, in particolare riferimento alla conservazione dei campioni biologici e dei dati da essi desumibili, nelle "Linee guida nell'uso di campioni biologici a fini di ricerca scientifica" presentate al Forum Biodiritto 2009 dell'Università di Trento e nella pubblicazione realizzata da OECI nel 2010 dal titolo: "Dalla biobanca alla bioteca di ricerca: raccomandazioni etico giuridiche".
Fonte: Quotidianosanità.it