Fonte: Corriere della Sera del 19 maggio 2013
La salute ai tempi della crisi: i tagli possono essere un'opportunità. Lo suggerisce l'ultimo Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato al Senato in occasione dell'ottava Giornata nazionale del malato oncologico (domani 20 maggio), organizzata dalla Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo). Da un lato ci sono i costi in aumento per curare un numero crescente di casi di tumore, dall'altro la revisione e la riduzione delle spese a carico del Servizio sanitario nazionale. In mezzo un esercito di pazienti, familiari, oncologi, chirurghi, radioterapisti, specialisti della riabilitazione e psiconcologi, che temono di non poter più ricevere, o garantire a tutti, le migliori terapie possibili.
Nelle oltre 200 pagine del Rapporto (realizzato da Favo con le maggiori Società scientifiche oncologiche, Censis, Inps, Federazione dei medici di medicina generale, Federsanità ANCI e Ministero della Salute), però, viene tracciata una strategia per affrontare questa situazione.
«Delineare un nuovo modello di cura, meno centrato sull'ospedale e più orientato a forme alternative — spiega Francesco De Lorenzo, presidente del Favo —. Un modello che privilegi ad esempio i servizi domiciliari (preferiti dai malati e meno costosi rispetto al ricovero, ndr) e gli hospice, e che coinvolga di più i medici di famiglia quando il paziente torna a casa».
Per capire le dimensioni del problema basti pensare che in termini di costi sanitari e perdita di produttività, la spesa per i tumori è pari allo 0,6 per cento del PIL, per un costo complessivo che supera gli 8 miliardi di euro all'anno (circa 25.800 euro per paziente). Considerando anche l'invecchiamento generale della popolazione, tutte le statistiche dicono che il numero di casi di tumore è destinato ad aumentare: grazie ai progressi fatti nella prevenzione e nella ricerca, sempre più pazienti possono guarire o essere curati per molti anni, rendendo il cancro una "malattia cronica". Dai dati presentati emerge infatti una riduzione significativa della mortalità per tumore in entrambi i sessi (il calo è del 12% nei maschi, del 6% tra le donne) e anche i cosiddetti big killer (i tumori di colon retto, polmone, mammella, prostata), che ogni anno fanno registrare il maggior numero di decessi, oggi fanno meno paura.
È dunque fondamentale continuare a garantire ai malati le migliori cure disponibili, pur procedendo alla riduzione dei costi, imposta dalla spending review.
Ma secondo gli esperti che hanno lavorato al Rapporto è concreto il rischio che, in assenza di verifiche, le Regioni realizzino riduzioni lineari.
Un primo modo intelligente per risparmiare potrebbe essere, invece, quello di incrementare ricoveri diurni, servizi ambulatoriali, domiciliari e residenziali, coinvolgendo di più i medici di base. «Un terzo dei pazienti con cancro muore in strutture ospedaliere destinate al contrasto di patologie acute — aggiunge Francesco De Lorenzo —. È chiara l'inappropriatezza di questi ricoveri. Vanno poi considerati gli alti costi giornalieri delle degenze in centri complessi e ad alto tasso tecnologico, con il rischio aggiuntivo di sottrarre posti letto a malati oncologici in fase acuta».
Un gruppo di lavoro formato da esperti della Società Italiana di Chirurgia Oncologica (Sico), dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), di Favo e da rappresentanti del Ministero della Salute ha inoltre individuato i parametri (con riferimento a quelli internazionali) per stabilire i volumi minimi di attività per singola neoplasia, al di sotto dei quali le strutture chirurgiche non dovrebbero essere abilitate ad affrontare le varie patologie. Si evidenzia così che dei 1.015 Centri che ora si occupano di cancro del colon retto, solo 196 sono adeguati; dei 906 Centri per il tumore al seno, quelli adeguati sono solo 193; dei 702 che curano tumori al polmone solo 96 rientrano nei parametri, cosi come 118 dei 624 che curano tumori alla prostata. «Ci sono reparti di chirurgia e oncologia medica presenti in piccole strutture, prive degli indispensabili servizi di supporto e con casistiche inferiori al minimo necessario per garantire esperienza e trattamenti adeguati — spiega Stefano Cascinu, presidente Aiom —. Evidenze scientifiche dimostrano che Centri con bassi volumi di attività presentano maggiori rischi per i malati». Insomma, si potrebbero eliminare strutture inadeguate ed evitare tagli in quelle eccellenti. Incrementando anche i servizi che ancora mancano, come riabilitazione e terapia del dolore, e colmando il divario persistente fra Nord e Sud. Vera Martinella