Dal III Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologi emerge tutto il divario tra le diverse aree del Paese. Al Nord ci si ammala molto di più, ma il tasso di sopravvivenza è superiore del 3%. Dipende dalla quantità di strutture specialistiche e dalla qualità dell'assistenza sul territorio. I viaggi della speranza partono soprattutto dal Meridione
Repubblica del 12/05/2011
ROMA - Quattro italiani su cento oggi vivono con una diagnosi di tumore. Crescono però le possibilità di sopravvivenza di questi malati: un milione e 300mila pazienti (2,2%) sono ancora in vita a 5 anni dalla diagnosi, circa 800mila (l'1,5%) dopo 10 anni. C'è però ancora una forte disparità tra le varie zone del Paese: sconfigge la malattia il 5% dei pazienti che vive al Nord e il 2% di chi vive al Sud. Sono i dati del terzo Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato a Roma in occasione della VI giornata nazionale dedicata ai pazienti affetti da tumore. L'analisi è stata elaborata da un osservatorio costituito dalla Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo), dal Censis, dall'Inps, dall'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), dall'Associazione italiana radioterapia oncologica (Airo), dalla Società italiana di ematologia (Sie), dal ministero della Salute e dall'Istituto tumori di Milano.
"Oggi 2 milioni e 300mila persone sono malate di cancro in Italia - dice il professor Francesco De Lorenzo, presidente della Favo - ma la buona notizia è che si muore di meno. Rispetto al 1992, quando si fecero le prime statistiche di questo tipo, il numero di italiani viventi con una diagnosi di tumore è quasi raddoppiato. Va detto però che sono forti le differenze in termini di mortalità tra le regioni settentrionali e quelle del Meridione. Fino a qualche anno fa il Sud presentava un vantaggio dovuto a una maggiore presenza di elementi protettivi nei confronti dei tumori, come la dieta mediterranea, e una minore diffusione di fattori cancerogeni, come tabagismo e inquinamento ambientale. Questo scarto però sta diminuendo".
Così, mentre nel 1998 la mortalità per tutti i tumori presentava un'evidente differenza tra Nord e Sud, nel 2005 si è arrivati a una sostanziale omogeneizzazione e oggi il Sud supera il Nord, dove però resta più alta l'incidenza della malattia (+30%). In altre parole, nelle regioni settentrionali ci si ammala di più, ma si muore di meno.
Le donne le più colpite. Il Rapporto non solo evidenzia questo divario regionale, ma anche quello tra donne e uomini. I big killer continuano a prediligere il genere femminile nel 56% dei casi, tanto che oggi un milione e 256mila dei malati sono donne. La diagnosi più frequente (42%) è il tumore della mammella, con circa 38.000 nuovi casi stimati nel 2008 e circa 7.800 decessi. Tra gli uomini, il 22% dei casi (quasi 220mila persone) è formato da pazienti con tumore della prostata, con 23.500 nuovi casi stimati nel 2010 e circa 7.000 decessi.
Se si considera l'intera popolazione, la neoplasia in assoluto più frequente è quella del colon retto. In Italia colpisce 78 persone ogni 100.000 abitanti, per un totale di più di 47.500 nuovi casi l'anno (47.612 stima al 2008). Preoccupa anche il tumore al polmone, causato nell'87% dei casi dal fumo di sigaretta: nel 2008 in Italia questa malattia ha colpito 25.147 uomini e 6.955 donne, in totale oltre 32.000 persone e il livello di sopravvivenza a 5 anni varia dal 10 al 15%. I decessi nel 2008 sono stati 26.211.
I posti letto. "Le disparità regionali sono evidenti - dice il professor De Lorenzo - e si misurano anche in termini di posti letto". Se consideriamo che la media italiana per i malati oncologici è di 1,1 posti letto ogni diecimila abitanti, emerge la forte dotazione del Molise (2,1 p.l. per 10.000 abitanti) a fronte dei livelli, inferiori del 50% rispetto alla media nazionale, delle province autonome di Bolzano e Trento o della Puglia; in queste regioni, infatti, la disponibilità in area oncologica si ferma rispettivamente a 0,2, 0,4 e 0,6.
Se si considera invece la dotazione per la radioterapia, a fronte di una media nazionale di 10,2 posti letto per un milione di abitanti, la Provincia di Trento supera addirittura i 40 e dotazioni nettamente superiori vi sono anche in Toscana e in Friuli Venezia Giulia, mentre Valle d'Aosta, P. A. di Bolzano, Marche e Basilicata continuano ad essere del tutto prive di posti letto per radioterapia. E' evidente, comunque, che il modello di organizzazione differisce a seconda delle linee strategiche che le singole Regioni si sono date nell'ambito della propria autonomia organizzativa e finanziaria. Per questo motivo le differenze, a livello complessivo, possono essere compensate da altri dislivelli presenti in altri settori della sanità.
I viaggi della speranza. Il Rapporto rivela che quattro italiani su dieci, il 39,1%, se dovessero scoprire di avere il cancro, sarebbero pronti ad andare all'estero per farsi curare, e il 3% già lo ha fatto. Il 39,6% non ha fiducia nel sistema sanitario della propria regione, e si sposterebbe per le cure; il dato sale al 48% quando a rispondere sono i cittadini del Meridione. Peraltro, si legge nel Rapporto, sono solo otto le Regioni con un tasso di attrazione più alto di quello di fuga (in testa la Lombardia). Particolare è il caso della Basilicata dove ad alti livelli di fuga corrispondono anche alti livelli di attrazione, per ricoveri e trattamenti chemioterapici, probabilmente dovuti alle condizioni ancora più critiche delle regioni limitrofe.
L'indice di fuga maggiore è della Calabria sia per i ricoveri per tumori (55,62%) che per quelli di chemioterapia (32,86%). La Regione più ricercata per i ricoveri per tumori è il Molise (indice di attrazione pari al 31,65%), mentre per i ricoveri per chemioterapia la regione più ambita è il Friuli Venezia Giulia, con un indice di attrazione del 38,78%. Uno dei motivi per cui si va altrove a farsi curare è la diversità di dotazioni tecnologiche, come per esempio la radioterapia. Solo 6 regioni su 21, con una assoluta supremazia del Nord Italia, hanno raggiunto l'obiettivo fissato nel 2002 di portare il numero di questi strumenti a circa 7-8 unità per milione di abitanti. E non avere un servizio di radioterapia vicino a casa costringe a spostamenti in altre città, o regioni, per le cure. "Questo forte divario a più livelli ci preoccupa - dice Francesco De Lorenzo - soprattutto in relazione al federalismo fiscale. Per questo pensiamo sia necessario fare di più per i malati di tumore in Italia".