Fonte: il Sole 24 ore - Sanità

di Manuela Perrone

Gli italiani che hanno combattuto o combattono contro il cancro sono oltre 2,2 milioni, 960mila negli ultimi cinque anni. Un esercito di persone portatrici di nuovi bisogni che reclamano nuovi diritti. Da quello di accesso alle cure più innovative a quello di tornare a una vita normale dopo la fase acuta della malattia.

Il quarto Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici - realizzato dai volontari della Favo con un nutrito gruppo di partner (il Censis, l'Inps, il ministero della Salute, FederSanità Anci, gli oncologi Aiom, gli ematologi Sie, i radioterapisti Airo, gli psiconcologi Sipo e l'Istituto nazionale tumori di Milano) - è stato presentato oggi a Roma nel corso di un convegno che dato il "la" alle celebrazioni per la VII Giornata nazionale del malato oncologico, che si concluderanno domenica.

«Noi siamo il sindacato dei malati», ha esordito Francesco De Lorenzo, presidente Favo, inaugurando l'incontro. «Lavoriamo per garantire il loro diritto a tornare alla normalità promuovendo la riabilitazione complessiva».

I costi sociali dei tumori

Una parte consistente del rapporto è dedicata ai risultati completi dell'indagine Favo-Censis sui costi sociali dei tumori anticipata sul Sole-24 Ore Sanità lo scorso dicembre. Lo studio, condotto su 1.055 pazienti e 713 caregiver, ha calcolato che il costo sociale ascrivibile a tutti i malati e a tutti i caregiver è pari a 36,4 miliardi di euro annui, di cui oltre 5,8 miliardi di spese dirette (mediche e non mediche, come colf, trasporti, spese alberghiere, diete speciali ecc.) e oltre 30 miliardi di costi indiretti. Di questi ultimi, più di 12 miliardi (il 34%) sono il valore monetario delle attività di sorveglianza e assistenza direttamente erogate dal caregiver. La perdita dei redditi da lavoro dei malati pesa invece per 10,5 miliardi (oltre il 29%), quella per i caregiver ammonta ad altri 6,45 miliardi (il 17,7%): ciò significa che complessivamente le ripercussioni della malattia sul lavoro determinano un costo di quasi 17 miliardi. Il costo sociale procapite medio annuo relativo a tutti i pazienti che hanno avuto una diagnosi da almeno cinque anni è di 34.210 euro: in capo a ogni malato c'è un costo di 17.483 euro.

Ai costi sociali si vanno ad aggiungere le spese sostenute dal Servizio sanitario nazionale. «Alla luce di questi dati - sostiene Favo - risulta iniqua la re-imposizione di ticket su talune prestazioni oncologiche in alcune Regioni». E appare sicuramente insufficiente l'ammontare dei sussidi per i malati, pari a 1,1 miliardi, poco più del 3% del costo sociale totale.

L'impatto della malattia sul lavoro è impressionante: oltre il 20% dei pazienti ha dovuto lasciare l'attività, un ulteriore 10,2% si è dimesso e il 2,3% è stato licenziato. Si stimano in quasi 85mila le persone che hanno perso il lavoro negli ultimi cinque anni dopo la diagnosi.

Il giudizio sui servizi

Se i servizi sanitari sono considerati ottimi o buoni dal 77,3% dei pazienti, quelli sociali sono giudicati molto severamente: la quota di chi se ne ritiene soddisfatto scende al 45%, per il 13,6% sono insufficienti e il 21% dichiara di non poterli valutare perché non ci è mai entrato in contatto. Pollice verso anche per l'assistenza domiciliare, insufficiente per il 42% degli intervistati. Carenze che evidenziano la necessità di ripensare le modalità di assistenza al malato. «Quello del tumore è un fenomeno sanitario e sociale dai rilevanti risvolti socioeconomici», ha spiegato il presidente del Censis, Giuseppe De Rita. «Oltre che fornire assistenza sanitaria nella fase acuta della malattia si può pensare, come avviene in qualche esperienza localizzata di eccellenza, di integrare sanità e sociale, impegno familiare e reti più formalizzate di sostegno, risorse del pubblico e risorse familiari private».

L'offerta e gli squilibri

Il rapporto conferma un forte gap territoriale nei servizi per i malati oncologici, evidente soprattutto ancora nella radioterapia, nei posti letto in hospice e nelle dotazioni tecnologiche. Risultato: la migrazione dei pazienti da Sud a Nord, anche per effettuare la chemioterapia. Le Regioni da cui si parte di più per i ricoveri sono la Calabria, la Basilicata, l'Abruzzo, il Molise (che però ha anche un'alta capacità di attrazione, legata a una dotazione di posti letto di oncologia fuori media per la presenza di un centro d'eccellenza per la chirurgia oncologica cerebrale) e la Campania, nonché le Province autonome di Trento e di Bolzano.

L'accesso ai farmaci

Soltanto quattro Regioni (Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Marche) e la Provincia autonoma di Bolzano sono sprovviste di prontuari terapeutici regionali e dunque recepiscono immediatamente le indicazioni dell'Aifa rendendo subito disponibili i farmaci registrati. In tutte le altre si verificano ritardi nella disponibilità dei nuovi prodotti dovuti agli ulteriori passaggi burocratici previsti. Una disparità di trattamento inaccettabile, secondo Favo, Aiom e Sie, che hanno scritto una lettera aperta al ministro della Salute, Renato Balduzzi, invocando un intervento nel nuovo Patto per la salute perché il parere dell'Aifa sia reso immediatamente valido in tutte le Regioni. Anche perché l'accordo Stato-Regioni del 18 novembre 2010 si farmaci innovativi non ha portato grossi cambiamenti in oncologia e «non ha contribuito al raggiungimento dell'obiettivo di sanare le inaccettabili disuguaglianze tra i malati italiani».

Il ritardo del Piano oncologico nazionale

Risale a febbraio 2011 il via libera in Conferenza Stato-Regioni del Piano oncologico nazionale 2011-2013 che ha stabilito la centralità delle reti regionali e del modello organizzativo hub&spoke. Ma non c'è ancora traccia dei tre tavoli misti che avrebbero dovuto lavorare per attuare il Pon: si attende la firma del decreto ad hoc. «Bisogna continuare a sognare - ha detto il senatore Raffaele Calabrò, consigliere per la sanità del presidente della Regione Campania - che il gap tra Nord e Sud possa colmarsi. Ma per farlo occorrono due movimenti. Da un lato è sbagliato continuare a fissare obiettivi rigidi di riduzione della spesa, per esempio imponendo i tetti alla farmaceutica ospedaliera e territoriale: le Regioni devono poterli raggiungere in base alla propria capacità organizzativa. Dall'altro lato serve una regia forte del Governo centrale, che garantisca obiettivi chiari e risultati controllati».

Se Antonio Tomassini, presidente della commissione Igiene e sanità del Senato, ha annunciato che lavorerà con tutti i gruppi parlamentari per presentare una mozione unitaria che impegni all'attuazione del Piano, il sottosegretario alla Salute, Adelfio Elio Cardinale, ha stigmatizzato «l'oncologia degli omissis» e la deriva tecnicistica e ragionieristica della sanità: «Si deve tornare al medicus amicus di Seneca e portare a compimento le tante proposte rimaste sulla carta. Le disuguaglianze sono intollerabili».